Un’impresa ha diritto di vedersi riconosciuto il danno causato dai ritardi dalla Pubblica amministrazione, anche se i fatti precedono il recente diluvio normativo scatenato nel tentativo di garantire «tempi certi» all’attività degli uffici pubblici. Anche i tempi per ottenere giustizia, però, possono essere biblici, e trovano una consolazione molto parziale nel riconoscimento degli interessi legali che aumentano un po’ l’indennizzo per il danno.
Sono queste le conclusioni a cui si giunge nella lettura della sentenza 4344/2013, con cui il Consiglio di Stato ha chiuso una vicenda che oppone un’impresa al comune di Camerino e alla regione Marche dal 1997. A causa del «lucro cessante» e del «danno emergente» determinati dall’impossibilità di utilizzare una cava per il mancato arrivo di un’autorizzazione ambientale, i giudici amministrativi riconoscono all’impresa un rimborso da 100mila euro, che con gli interessi aumentano di circa un terzo, condannando in solido al pagamento il Comune e la Regione. Lo stop forzato dall’assenza delle carte risale però al periodo 1997-2000, mentre la sentenza definitiva è di questi giorni.
La vicenda trascende il caso specifico, perché è esemplare dei cortocircuiti amministrativi che complicano la vita delle imprese e riconosce il diritto degli operatori economici che vi incorrono a ottenere i risarcimenti, anche in base a norme presenti nel nostro ordinamento da decenni. L’impresa in questione, che utilizzava la cava fin dal 1983, aveva inviato al Comune, che l’aveva girato alla Regione, un primo progetto per il recupero ambientale della cava: nell’attesa, aveva elaborato una variante, che riduceva il volume estraibile, e l’aveva inviato direttamente alla Regione per saltare un passaggio e accorciare i tempi.
Mal gliene incolse, perché il comitato regionale del territorio, bocciando il primo progetto, giudicava “irricevibile” la variante perché arrivata direttamente dall’impresa, e non tramite il Comune. La variante venne allora instradata sull’iter normale, ma giunta al comitato fu bocciata perché arrivata dopo l’esame negativo del progetto originario. Per questa ragione, venne anche respinta l’ipotesi, avanzata dal Comune di Camerino, che sulla variante si potesse formare il silenzio assenso. Il punto, paradossale, è evidente: la variante è arrivata in ritardo per un vizio procedurale contestato dalla Regione, ed è stata respinta dalla stessa Regione perché è arrivata in ritardo. Su questa base è fiorita una folla di atti dilatori e di rimpalli fra Comune e Regione, che hanno rappresentato gli argomenti della battaglia legale ingaggiata dall’azienda. Battaglia legale che, a sua volta, è durata parecchio di più rispetto ai ritardi amministrativi che l’hanno generata. Il primo ricorso è stato presentato nel 2000 al Tar Marche, che si è preso sei anni per decidere, nella sentenza 560 del settembre 2006, di non accogliere la domanda di risarcimento. Di qui il nuovo ricorso, arrivato nei giorni scorsi al giudizio definitivo del Consiglio di Stato dopo 13 anni di pena.
Il Sole 24 Ore – 18 settembre 2013