Il governo ha una settimana di tempo per cambiare la manovra, altrimenti riceverà una lettera Ue preludio alla bocciatura formale: nei primi giorni della prossima settimana una missione di Bruxelles arriverà a Roma per passare al setaccio i nostri conti.
Ieri Jean-Claude Juncker, tramite canali riservati, ha fatto sapere a Renzi che non è nelle condizioni di far passare la legge di bilancio così come è stata notificata alla Commissione. In vista del referendum, Juncker si è esposto molto per aiutare il premier, ma il testo giunto dal Tesoro non è ritenuto commestibile sia dal punto di vista legale (ogni anno le Capitali devono tagliare il deficit mentre l’Italia ha già ricevuto ampie deroghe e ora ne chiede altre) sia da quello politico.
Troppo elevato il deficit, al di là dei patti stretti tra lo stesso Juncker e Renzi (ok ad una formulazione che si fermasse massimo al 2,2 per cento rispetto al target dell’1,8 mentre il governo ora chiede il 2,3). E oltretutto la composizione della manovra non permette di giustificare i numeri: troppe una tantum e poi una stima sui costi che l’Italia sosterrà sui migranti esageratamente superiore a quella che si ottiene applicando i criteri europei. Criteri che Roma ha deciso di ignorare chiedendo un bonus per tutti i costi legati ai profughi previsti per il 2017 anziché per il solo incremento delle spese rispetto al 2016.
Già giustificare il 2,2 per cento – spiegano da Bruxelles – è tecnicamente difficilissimo considerando la composizione del testo: comunque non ci sarebbe la sicurezza che passi al vaglio dell’Eurogruppo – il tavolo dei ministri finanziari – anche se Juncker sembra disposto a correre il rischio ma solo a patto che Roma segua le indicazioni di Bruxelles nella riscrittura del testo. Del resto si sostiene che il 2,3 per cento non passerà mai, e dunque la Commissione non può inviare all’Eurogruppo una decisione che verrebbe ribaltata con l’Italia che finirebbe ugualmente nel mirino e Juncker e Moscovici che ne uscirebbero politicamente a pezzi.
L’arrivo delle tabelle del Draft Budgetary Plan, scatena dubbi e polemiche anche in Italia. L’intervento lordo risulta intorno ai 26,3 miliardi: la somma viene coperta con 14,24 miliardi di nuove entrate e tagli, mentre il resto, pari a 12 miliardi è prodotto del deficit che passa all’1,8 al 2,3 per cento. Il peso delle una tantum è di 7 miliardi, quasi il 50 per cento delle coperture, mentre la spending review ammonta al 20 per cento.
Se poi si guarda alla «qualità » delle entrate, circa la metà, il 53,5 per cento, deriva da «sanatorie» o «lotta all’evasione ». La voluntary disclosure, con annesso il contante, vale circa 2 miliardi, mentre la rottamazione delle cartelle di Equitalia, con incluso l’effi-cientamento dell’amministrazione fiscale, porterebbe 3,16 miliardi. In tutto 5,15 miliardi di entrate provengono da operazioni di «pentimento » o adesione ad uno sconto da parte dell’amministrazione.
A questa somma si possono aggiungere i 2,47 miliardi cifrati come lotta all’evasione, più strutturali, all’interno dei quali spiccano la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati: provvedimenti simili hanno dimostrato di funzionare ma dovranno essere misurati una volta giunti al traguardo. Tra sanatorie ed evasione si raggiungono dunque circa 9 miliardi e mezzo, più della metà delle intere nuove entrate e minori spese.
Se si compie l’esercizio di valutare il peso delle una tantum, partita assai sensibile agli occhi di Bruxelles, emerge che ammonta a circa 7 miliardi (le due sanatorie più la vendita delle frequenze Gsm per 2 miliardi): si tratta di circa la metà delle coperture (il 49 per cento). Un punto che viene considerato debole, o almeno esposto ai rilievi di Bruxelles.
Minoritaria resta la parte dei tagli: la spending review sale, rispetto alla vigilia, a circa 3 miliardi ma rappresenta solo il 20 per cento dell’intero spettro delle coperture.
Altri fronti di polemica si aprono su riparto e destinazione delle risorse. Il primo riguarda gli stanziamenti, pari ad un miliardo per il pubblico impiego: mancano all’appello rispetto alle slide circa 900 milioni. La coperta è corta perché, oltre al contratto avrebbero dovuto essere finanziate le 10 mila assunzioni e rinnovato il bonus per le forze dell’ordine. La leader della Cgil Camusso parla di «propaganda» e lamenta «risorse scarse». Mentre sul pacchetto pensioni interviene il presidente dell’Inps, Tito Boeri secondo il quale le misure produrranno l’effetto di far crescere il debito previdenziale per 20 miliardi.
Repubblica – 19 ottobre 2016