In una riunione dei ministri responsabili del commercio, i Ventotto hanno compiuto ieri passi avanti nel fare chiarezza sui dossier più attuali della politica commerciale. I Paesi membri si sono trovati d’accordo (in linea di massima) per firmare l’accordo di libero scambio con il Canada in ottobre. Quanto all’intesa con gli Stati Uniti, i Ventotto hanno preso atto pubblicamente che una chiusura dei negoziati prima della fine dell’amministrazione Obama è pressoché impossibile.
«Abbiamo avuto una eccellente discussione – ha spiegato in una conferenza stampa a Bratislava il ministro dell’Economia slovacco Peter Ziga –. Ci siamo trovati d’accordo per puntare su una firma del trattato commerciale con il Canada (noto come Ceta) in occasione del vertice bilaterale euro-canadese del 27 ottobre (…) Tuttavia, è stato deciso di chiedere alla Commissione di preparare una dichiarazione che verrà associata all’intesa e che dovrà fare chiarezza su alcuni aspetti sensibili».
In molti Paesi, il rigetto della globalizzazione ha comportato proteste contro la politica commerciale della Commissione e più precisamente contro gli accordi di libero scambio. Ancora nei giorni scorsi, manifestazioni si sono tenute in Germania e in Belgio. La dichiarazione che verrà preparata da Bruxelles, con l’obiettivo di rassicurare le opinioni pubbliche più preoccupate dell’impatto del Ceta, sarà presentata ai ministri in una riunione straordinaria, probabilmente il 18 ottobre.
«Vi è il sentimento unanime di voler chiudere», ha detto da Bratislava il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Da precisare ancora nel dettaglio è la portata dell’applicazione provvisoria del Ceta, che dovrebbe scattare dopo la firma dei Paesi e il benestare del Parlamento europeo. Esclusi dall’applicazione provvisoria dovrebbero essere tra gli altri i settori dello sviluppo sostenibile, del diritto del lavoro, e della risoluzione delle controversie tra Stati e investitori.
«Dopo settimane di incertezza finalmente dal Consiglio arrivano notizie incoraggianti sul Ceta», ha commentato da Roma Lisa Ferrarini, vice presidente di Confindustria. Dopo la firma per l’entrata in vigore provvisoria, il trattato dovrà essere ratificato a livello nazionale. «La volontà dei Parlamenti nazionali – ha precisato la signora Ferrarini – va rispettata, ma va evitato in tutti i modi di marginalizzare le imprese europee dalle rotte commerciali mondiali preferenziali, ossia quelle a dazio zero».
«Il Ceta – ha aggiunto – è considerato il migliore accordo finora concluso dalla Ue, visto che prevede l’abbattimento del 99% dei dazi esistenti. Se dovesse essere compromesso per i rilievi mossi da alcuni Stati membri, la credibilità internazionale dell’Unione subirebbe un colpo mortale, il cui effetto domino si estenderebbe ai negoziati in corso, come quello con il Giappone e il Ttip. Per quest’ultimo, invece, bisogna fornire ai negoziatori il massimo sostegno» prima della scadenza del mandato di Barack Obama.
Ieri i ministri hanno anche discusso dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti (noto come Ttip). Francia e Austria si sono recate a Bratislava con la proposta di sospendere la trattativa, e addirittura di modificare il nome del trattato, ormai impopolare. Parigi e Vienna sono però rimaste isolate: il Consiglio si è detto d’accordo per continuare le trattative, anche se, secondo Ziga, chiudere il negoziato entro la fine dell’amministrazione Obama appare ormai «irrealistico».
Si conferma l’obiettivo di mantenere l’abbrivio nel negoziato per poter continuare le discussioni con la nuova Casa Bianca, superate le elezioni presidenziali di novembre. Il prossimo round negoziale è previsto in ottobre. Successivamente, si farà il punto. Infine, i Ventotto hanno anche discusso delle nuove misure di difesa commerciale che Bruxelles ha presentato a grandi linee prima della pausa estiva (si veda Il Sole 24 Ore del 21 luglio).
La proposta di una nuova metodologia di calcolo dei dazi appare un modo per superare la distinzione tra Paesi economia di mercato e paesi non economia di mercato, mentre si discute dello status da dare alla Cina. In attesa di una proposta formale di Bruxelles, lo stesso Calenda, convinto che l’Europa debba difendersi meglio contro il dumping cinese, ha chiesto che la nuova strategia non permetta una applicazione discrezionale e regga eventuali ricorsi dinanzi all’Organizzazione mondiale del Commercio.
Beda Romano – Il Sole 24 settembre 2016