Diego Neri. Una vicenda limite, destinata però a far riflettere, perché a seconda dei punti di vista provoca reazioni contrapposte. E quella di un immigrato che ha ucciso un cane a calci; ma lo ha fatto, sempre che la morte della bestiola sia stata provocata proprio da quelle lesioni, per proteggere suo figlio, aggredito e ferito dall’animale. Per la procura quel papà non ha commesso reati, e ne ha chiesto l’archiviazione, perché ha agito per legittima difesa. E il giudice ha mantenuto la stessa linea, nonostante la proprietaria di Tobia si fosse opposta, chiedendo invece il processo.
L’AGGRESSIONE I fatti di cui si è discusso di recente in tribunale risalivano all’11 giugno dello scorso anno ed avvennero a Torri di Quartesolo. Quel pomeriggio l’immigrato serbo Predrag Nebrovsky, 34 anni, residente in provincia di Venezia, si era recato al centro commerciale Le Piramidi con la moglie e il figlioletto di 5 anni. Da quanto è stato ricostruito, il bambino stava correndo verso un negozio, nel parcheggio, con il padre che lo inseguiva per timore che venisse investito da qualche auto in manovra, quando il piccolo si era fermato spaventato: era sbucato all’improvviso davanti ad un cane di piccola taglia, che a sua volta si era spaventato e si era messo ad abbaiare. L’animale, non è chiaro se e come eventualmente provocato dal bimbo, lo aveva morso ad una gamba. Il bimbo, terrorizzato, aveva tentato di scalciarlo e in quel momento era arrivato il padre. Nebrovsly era stato a sua volta aggredito dal cane che aveva cercato di morderlo ad un piede, e il serbo gli aveva rifilato un calcione. Il cane era tornato all’attacco e aveva morso nuovamente il bimbo, prima di ricevere un altro violentissimo calcio dal padre.
LA RICOSTRUZIONE I fatti descritti da Arianna Sartori, proprietaria del cagnolino, chiamato Tobia, non sono del tutto coincidenti, ma la differenza per i magistrati non è dirimente. Quello che è certo è che la vicentina di 42 anni stava riponendo la spesa nella sua auto, e aveva adagiato il cagnolino, che prima teneva in braccio (e prima ancora al guinzaglio), a terra per qualche istante. Non appena si era liberata le mani lo aveva ripreso in braccio. Tobia era ferito, il secondo calcio lo aveva mandato a sbattere contro la vettura. Fra lei e il serbo erano volate male parole, ma si erano scambiati reciprocamente nomi e numeri di telefono.
L’INDAGINE Il bambino alla fine non aveva subito gravi lesioni; ad ogni conto, i genitori avevano deciso di medicarlo alla bell’e meglio senza accompagnarlo in ospedale. Per loro la vicenda era conclusa. Non così per Sartori: aveva portato Tobia dal veterinario che lo aveva curato, ma la bestiola aveva riportato lesioni serie, ed era morta all’inizio di luglio, cioè una ventina di giorni dopo. Così la proprietaria aveva sporto denuncia, dando il via all’indagine che era stata seguita dal pubblico ministero Francesca Sorvillo.
LEGITTIMA DIFESA. Il magistrato, al termine degli accertamenti, aveva chiesto l’archiviazione. In primo luogo, come rilevato anche in una memoria difensiva del serbo, accusato di maltrattamento di animali, non era possibile attribuire con certezza la morte di Tobia ai calci che Nebrovsky, difeso dall’avvocato Maritato, ha sempre ammesso di averli tirato. In secondo, soprattutto, perché quei calci non erano stati frutto di un comportamento violento gratuito, ma avevano lo scopo di difendere se stesso e il figlioletto dall’animale che, spaventato, li aveva morsi. Il padre, di fatto, aveva agito per legittima difesa. Alla richiesta di archiviazione si era opposta però Sartori, che sottolineava come la vicenda, alla quale aveva assistito come testimone anche il commesso di un negozio, che avrebbe potuto essere identificato e ascoltato in aula, dovesse essere dibattuta in tribunale, e chiedeva perciò il processo. Ma il giudice ha confermato l’archiviazione: il papa non ha commesso alcun reato.
Il Giornale di Vicenza – 20 ottobre 2017