Il decreto con le modalità per chiedere l’anticipazione del Tfr in busta paga ha la strada in discesa. Dal Consiglio di Stato è, infatti, arrivato il via libera, seppure con alcune osservazioni. Il provvedimento dovrebbe, dunque, riuscire a tagliare il traguardo secondo i tempi fissati dalla legge di stabilità, che ha previsto di far debuttare la novità il 1° marzo.
La sezione atti normativi di Palazzo Spada – alla quale il testo era stato inviato per il parere – ha riconosciuto che l’impianto del decreto è «sostanzialmente coerente» con la normativa primaria. Dunque, niente «si oppone all’ulteriore corso» dell’atto.
I giudici hanno, però, posto l’accento su alcuni punti, invitando il Governo a valutarli con attenzione. Il primo è la tenuta del sistema pensionistico. La liquidazione anticipata del Tfr finisce per incidere su quell’assetto. È, pertanto, «necessario – scrive il Consiglio di Stato nel parere 479/2015 – riflettere con cura sull’opportunità di introdurre elementi di innovazione non coerenti con le linee di fondo» di un sistema di recente sottoposto a profonda revisione e che si è avviato su un sentiero di sostenibilità strutturale di medio-lungo periodo. «Appare aderente al vero che l’opzione che viene offerta ai lavoratori amplia effettivamente il perimetro delle loro scelte marginali in ordine alla disponibilità immediata del reddito prodotto, ma – aggiungono i giudici – incide in qualche modo sui flussi di risorse che vengono destinati all’accumulo di posizioni contributive, nel sistema Inps e nel sistema complementare». Si tratta di un «elemento delicato», anche perché la previdenza complementare, che non è mai decollata negli anni pre-crisi, continua ad avere prospettive incerte.
L’altro rilievo del Consiglio di Stato riguarda gli eventuali costi aggiuntivi che «nella triangolazione dei flussi finanziari tra datore di lavoro, istituto finanziatore e Inps» possono ricadere sulle imprese. Sarebbe un effetto «da valutare negativamente e – scrivono i giudici – da evitare, eventualmente, con opportuni accorgimenti».
Inoltre c’è un rilievo di merito che riguarda le esclusioni previste per i lavoratori. Non possono optare per il Tfr in busta paga nel prossimo triennio coloro che, in virtù di una legge o di un contratto collettivo, godono già di una corresponsone periodica del Tfr oppure il suo accantonamento presso soggetti terzi. Secondo il Consiglio di Stato con questa esclusione si rischia di introdurre una disparità di trattamento non giustificata. Il riferimento è rispetto alla scelta diversa, fatta nella norma, di riconoscere invece la possibilità di accedere all’operazione Tfr in busta paga a coloro che avevano già deciso di destinare il Tfr maturando ai fondi pensionistici complementari.
Nella relazione, scritta da Paolo De Ioanna (presidente della sezione è Franco Frattini), si fa in più di un’occasione riferimento all’accordo-quadro ancora da stipulare tra Abi, ministero dell’Economia e ministero del Lavoro. È l’altra gamba con cui camminerà l’intera procedura e che dovrà chiarire aspetti cruciali che riguardano l’accesso delle imprese con meno di 50 dipendenti ai finanziamenti bancari garantiti dal Fondo Inps da 100 milioni di euro per il 2015 e che verrà poi alimentato con un contributo pari allo 0,2% dell’imponibile previdenziale di ogni dipendente a carico del datore di lavoro. Nell’accordo-quadro si prenderà atto dei limiti imposti sui tassi di finanziamento, che non potranno essere superiori alla rivalutazione del Tfr. Ma si dovranno definire aspetti non secondari come, per esempio, le modalità di rimborso del finanziamento ottenuto. Secondo l’articolo 7 del Dpcm esaminato, l’azienda dovrà effettuare questo rimborso entro il 30 ottobre 2018, vale a dire quattro mesi dopo il termine del triennio sperimentale. Si tratta di capire se questo rimborso sarà in soluzione unica o dilazionato. Per non parlare dei casi di interruzione del finanziamento in corso d’opera (per esempio se l’azienda entra in una procedura concorsuale o in caso di risoluzione del rapporto di lavoro o frode); nodi che dovranno ora essere sciolti dal testo Abi-Mef-Lavoro.
Il Sole 24 Ore – 21 febbraio 2015