Hanno chiesto un parere al consiglio. E il consiglio gliel’ha dato. E visto che i tempi sono quelli che sono, tra indipendentisti in manette, «plebisciti» sul web e indagini demoscopiche choc (come quella di Ilvo Diamanti), non poteva trattarsi di un responso all’acqua di rose. «Vogliamo che il Veneto diventi una Regione a statuto speciale». Firmato, i capigruppo a Palazzo Ferro Fini. Destinatario, il governo Renzi che si appresta a portare in parlamento la riforma del Titolo V e l’abolizione del Senato così come lo conosciamo.
Il documento bipartisan, rifinito nel tardo pomeriggio di ieri e già concordato tra i partiti, sarà votato questa mattina, alla ripresa del lavori dell’aula. I suoi contenuti, però, sono ben chiari. Oltre alla richiesta «prioritaria» di diventare «Regione a statuto speciale», l’assemblea chiede che il disegno di riforma costituzionale preveda «in subordine» la valorizzazione del regionalismo differenziato (riconoscendo quindi al Veneto la possibilità di negoziare con lo Stato maggiori condizioni di autonomia su particolari materie), la riduzione della sperequazione tra Regioni attraverso l’introduzione dei costi standard e il riconoscimento dell’autonomia finanziaria. I consiglieri chiedono anche una composizione del futuro Senato delle Autonomie più equilibrata nella rappresentanza territoriale, in modo da rispettare la diversa rilevanza demografica delle Regioni, perché non è possibile che il Veneto abbia lo stesso numero di «neo senatori» del Molise e addirittura meno del Trentino Alto Adige (che gode dello spacchettamento della rappresentanza tra le Province autonome di Trento e di Bolzano). E ancora da Palazzo Ferro Fini si chiedono maggior voce in capitolo per le Regioni nell’iter legislativo in materia di finanza pubblica e di autonomie locali e meno centralismo nella revisione dell’articolo 117 in modo da difendere il principio di sussidiarietà. Ai presidenti di giunta e consiglio Luca Zaia e Valdo Ruffato l’arduo compito di difendere a Roma i desiderata del loro «parlamentino».
A Palazzo Ferro Fini, comunque, si registra parecchia preoccupazione. Da un lato si respira un certo affanno di fronte al malessere dilagante, dai forconi all’indipendentismo, malessere a cui risulta sempre più complicato dare una risposta istituzionale, che non guardi alla pancia. Dall’altro lato si ha l’impressione che il governo voglia mettere sempre più sotto pressione le Regioni (che certo ci hanno messo del loro: 500 indagati in 19 consigli regionali…), come dimostra il fatto che Renzi sia tornato a battere sull’eliminazione dei rimborsi ai gruppi e sull’abbassamento degli stipendi degli eletti. Nel primo caso, a Palazzo Ferro Fini, si tratterebbe di azzerare il contributo già ridotto a 542 mila euro dopo la battaglia di Monti per il contenimento dei costi della politica. Nel secondo, i consiglieri dovrebbero adeguare la loro indennità a quella del sindaco di Venezia, passando dagli attuali 7.700 euro (assessori e presidenti di commissione salgono a 8.200, il governatore a 9.300) ai 6.900 euro percepiti ogni mese da Giorgio Orsoni. Non un gran sacrificio, a voler essere onesti. Di certo non di questi tempi.
Ma.Bo. – Corriere del Veneto – 3 aprile 2014