Topi d’auto che non si possono arrestare anche se colti in flagrante perché il proprietario non è in città e non può firmare la denuncia. Stupratori che potrebbero farla franca perché irreperibili. Borseggiatori seriali che finiranno fuori dal carcere in quanto le vittime sono turisti stranieri, tornati a casa dopo le Festività. Addirittura sequestratori che non finiranno a processo se manca la denuncia del sequestrato. Al decimo giorno di applicazione della riforma Cartabia, dai palazzi di Giustizia arrivano molte segnalazioni e proteste. L’intera macchina giudiziaria scricchiola sotto il peso delle novità. Si stanno verificando persino problemi ai sistemi informatici.
In particolare, si temono contraccolpi perché la riforma ha spostato alcuni reati dalla procedibilità d’ufficio alla procedibilità a querela. E non è una novità indolore. Nel campo dei reati che si possono perseguire soltanto a seguito di querela, ci sono il furto, ma anche la rapina semplice, le lesioni stradali gravi o gravissime, le lesioni personali, la minaccia. Alcuni reati di quelli che hanno cambiato veste sono oggettivamente minori, tipo “il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone”. Ma non è così per la “turbativa violenta del possesso di cose mobili” oppure la “violenza privata”, che in aree ad alta densità mafiosa può essere un reato spia di comportamenti molto pericolosi. E non è prevista una deroga nemmeno se c’è l’aggravante mafiosa.
In pratica, se un mafioso minaccia un cittadino, o anche gli procura lesioni, o la vittima firma la denuncia oppure nemmeno si istruisce la pratica. Lo Stato lo lascia solo con la sua coscienza. A questo meccanismo, che si sta concretizzando nei primi giorni di applicazione della riforma, la maggior parte dei magistrati si ribella. Dice il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, a nome di tutti: «Non siamo contrari al principio in astratto, ma ci voleva più prudenza nello stilare l’elenco dei reati. E bisogna prevedere una deroga per l’aggravante mafiosa».
La riforma era stata approvata dal Parlamento nell’agosto scorso; subito dopo l’allora ministra Marta Cartabia emanò un decreto legislativo che stabiliva quali reati dovessero cambiare registro. Ma ora il nuovo governo vuole rovesciare tutto. «Premesso che noi di Fratelli d’Italia non abbiamo votato a favore e l’abbiamo criticata duramente in Parlamento – dice il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro – oggi scopriamo che i sequestratori non verranno nemmeno indagati se manca la querela della vittima, ed è uno scandalo, ma domani scopriremo che in appello scatterà l’improcedibilità, e cioè finiranno al macero, una massa di processi. Non subito, ma nel corso della legislatura questa riforma noi la riscriveremo di sana pianta».
Il vizio di fondo, secondo il partito di Giorgia Meloni, è dovuto all’eterogeneità della maggioranza che reggeva il governo Draghi. «Sappiamo bene – continua Delmastro – che questa era una delle riforme concordate con l’Europa, per velocizzare la giustizia, e ottenere il Pnrr. Ma tecnicamente è un disastro perché cerca di tenere insieme visioni molto diverse».
I magistrati imputano alla riforma soprattutto la fretta di abbattere l’arretrato e ridurre il numero dei processi. D’altra parte, lo stesso consulente della ministra, Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale, è esplicito sugli obiettivi. Sulle pagine della sua rivista “Diritto penale”, scrive: «Tra il 2016 e il 2020, sono stati denunciati quasi sei milioni di furti, e aperti altrettanti fascicoli. L’effetto deflattivo della riforma è potenzialmente notevole in ragione, vuoi del numero di casi in cui non sarà presentata una querela, vuoi del numero di casi in cui potrà essere rimessa a seguito di condotte risarcitorie delle quali la persona offesa potrà beneficiare in tempi brevi». —