Repubblica. I presidi e le famiglie vorrebbero sapere che cosa succede con le classi dove si scopre un contagio. Applichiamo la quarantena alla tedesca?, chiedono i dirigenti. Lo facciamo come in Veneto? A casa solo il contagiato? Vanno a casa solo il positivo e il suo compagno di banco? E i professori?
La questione, che si propone dall’anno scolastico 2019-2020, aggiunge stress all’avvio di questa stagione scolastica, meno convulsa dell’anno scorso in quanto a cattedre e supplenze, ma tutt’altro che perfetta. Quando viene segnalato un alunno positivo, la risposta non è mai la stessa: dipende dai protocolli delle Regioni, diversi uno dall’altro. Di più, la casistica d’intervento si moltiplica tra gli stessi istituti scolastici. Decide l’Asl interessata all’intervento, secondo le regole interne. I genitori hanno una certezza: «Così la scuola in presenza non tiene».
L’Emilia-Romagna l’ha scritto chiaro nel nuovo protocollo sanitario: vanno in quarantena solo i contatti stretti dello studente positivo al Covid, che la Ausl di Bologna ha definito “i compagni di banco”: gli altri fanno un tampone e, se tutti negativi, rientrano in aula. Il Lazio vorrebbe seguire questa strada per limitare gli alunni inviati in Didattica a distanza, ma le Asl hanno già contestato la proposta: «Servirebbero mille medici per realizzare lo screening che chiede la Regione e poi una classe scolastica non è un luogo statico, tutti i compagni di classe di un positivo sono a rischio». La soluzione alla tedesca, ecco, mostra dei limiti e i nostri istituti, in media, non hanno la ventilazione forzata presente nelle scuole della Germania.
Il Veneto ha scelto di estremizzare il concetto: a casa, dalla primaria in su, solo il contagiato. Un criterio già applicato lo scorso anno «che non ha creato maggior rischio nelle scuole e ha permesso di evitare il più possibile la Dad», osserva Davide Guerini, una figlia alla materna a Padova.
A Milano il comitato “A scuola!” reclama quarantene differenziate. Lo appoggia il Comitato Priorità alla scuola. «Da diversi mesi abbiamo proposto i test salivari molecolari per il tracciamento», dice Chiara Ponzini, «non parliamo di una minore sicurezza, ma di evitare quarantene inutili e mantenere il più possibile la scuola in presenza». All’Istituto comprensivo di Via Linneo di Milano, per dire delle diverse interpretazioni dei casi, al primo contagio è andata a casa tutta la classe, venticinque alunni, non la maestra: aveva la mascherina, è stata considerata immune.
La Toscana ha mantenuto il protocollo dello scorso anno: prevede l’isolamento automatico di tutto il gruppo. I presidi del Lazio, attraverso Cristina Costarelli, presidente Anp, fanno sapere: «Non tutte le Asl hanno fatto pervenire alle scuole i protocolli aggiornati: ora devono essere i medici di Medicina generale a seguire le quarantene. In alcuni casi è stata attivata una piattaforma in alternativa alle mail: non viene seguita né aggiornata». A Ostia, ad Acilia, nel quadrante di Roma Est a casa sono andati solo i contatti stretti, una bolla di 5-6 alunni nel caso di un asilo. E l’ipotesi micro-bolle avanza.
Ma quante sono le classi nel Paese già con le lezioni a distanza? Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ieri al question time alla Camera ha assicurato: «Pochissime». I suoi uffici, in verità, fanno sapere che il dato il ministero non lo possiede. Durante la reggenza Azzolina si è interrotta la conta affidata ai presidi e non è più ripresa. Quindi? Ci si deve affidare alle Regioni, agli Uffici scolastici, alla rete dei presidi per scoprire che, data lunedì scorso, in Veneto erano andate in Dad 100 classi, solo a Padova 61. In Lombardia almeno 70, metà in provincia di Milano. In Alto Adige, dove si era partiti lunedì sei, sono 35, in Liguria 25, in Basilicata 21. Alle regioni si aggiungono alcuni dati delle province: 30 classi a distanza a Torino, 21 a Bologna, 5 a Reggio Emilia, 4 a Piacenza. Alessandro Artini, responsabile Anp Toscana: «I numeri del ministero, “poche centinaia”, sono inattendibili. Il governo deve pubblicare giorno per giorno le classi chiuse per il Covid».
Se sono oltre 300 in Dad in quattro regioni, una provincia autonoma e quattro città del Nord, è lecito stimare che il numero nazionale viaggi tra 600 e 1.000. Fanno almeno 15.000 studenti. A fronte delle 370 mila classi presenti nel Paese, sono 2-3 gruppi ogni mille. Ma rapportato alle 400 classi a distanza dopo una settimana nella passata stagione, la cifra di quest’anno nutre l’ansia. Delle 600-1.000 inviate in Dad, il maggior numero riguarda gruppi delle scuole materne o degli istituti comprensivi. Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: «L’obiettivo del governo di garantire la scuola in presenza rischia di essere fortemente disatteso ».