Dalla legge di stabilità nazionale al piano sociosanitario regionale, dalla disciplina delle aperture festive alle norme istitutive dei referendum sull’autonomia e sull’indipendenza del Veneto. Sulla tratta Venezia-Roma, e ritorno, quante deviazioni verso la Consulta: ora su iniziativa della Regione, ora su proposta del governo. Adesso la lunga storia dell’eterna sfida sulle competenze si arricchisce di un nuovo capitolo, con la pronuncia di parziale incostituzionalità in materia di «tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo», questione diventata a suo tempo famosa per l’appello dell’allora capogruppo forzista (e primo firmatario del provvedimento) Leonardo Padrin affinché la Corte non perdesse tempo «a discutere sui recinti e sulle cucce per cani». Venerdì è stata depositata in cancelleria la sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di un frammento della legge regionale 17, approvata dal consiglio regionale il 19 giugno 2014.
Che fra l’altro vieta l’utilizzo della catena e di altri strumenti di contenzione per cani e gatti, spalancando loro (purché accompagnati dal proprietario e tenuti a guinzaglio e con museruola) l’accesso a tutte le aree pubbliche e di uso pubblico, compresi giardini, parchi e spiagge. Il testo prevedeva inoltre la possibilità di realizzare, all’interno dei terreni di proprietà, strutture e recinzioni per consentire libertà di movimento alle bestiole nel rispetto dell’incolumità delle persone. La Corte Costituzionale ha però bocciato il comma secondo cui tali strutture e recinzioni «sono sempre consentite, anche in deroga alla normativa regionale e agli strumenti territoriali, ambientali, urbanistici ed edilizi», accogliendo così i rilievi del ministero dell’Ambiente.
Fin dall’impugnazione promossa dal premier Matteo Renzi nell’agosto scorso, a proposito della deroga si sono scontrate due tesi contrapposte. Da un lato la presidenza del Consiglio, rappresentata in giudizio dall’avvocato dello Stato Giovanni Paolo Polizzi, ha sostenuto che la disposizione «pretenderebbe di derogare, in via generale ed astratta, a una serie di prioritari strumenti di tutela dell’ambiente, previsti dalla legislazione statale, dando vita ad una disciplina idonea a diminuire i livelli di tutela». Dall’altro il Veneto, con gli avvocati Luigi Manzi ed Ezio Zanon, ha sostenuto che è «da intendersi che ogni legge regionale, per quanto non lo specifichi, escluda dal proprio ambito applicativo qualsiasi fattispecie che lo Stato abbia regolato o avrebbe potuto regolare».
Alla fine la Corte ha dato torto a Venezia, con una motivazione che ripropone il senso del sempiterno scontro con Roma: «Ragionando in questo modo, si eliminerebbe, facilmente e in radice, la grande maggioranza dei conflitti di competenza». In altre parole se passasse la linea per cui è implicito che le leggi regionali intendono rispettare i propri limiti di competenza, senza necessità di elencare espressamente le disposizioni statali intoccabili, sarebbe fin troppo facile. Invece la guerra è destinata a continuare.
S. 99/2015 del 13/05/2015
Udienza Pubblica del 12/05/2015, Presidente: CRISCUOLO, Redattore: ZANON
Norme impugnate:Art. 2 della legge della Regione Veneto 19/06/2014, n. 17.
Oggetto:Edilizia e urbanistica – Ambiente – Tutela degli animali da affezione e prevenzione del randagismo – Norme della Regione Veneto – Disciplina delle strutture e delle recinzioni per il ricovero dei cani e dei gatti, nonché della custodia degli animali di affezione – Prevista possibilità di realizzazione anche in deroga alla normativa regionale e agli strumenti territoriali, ambientali, naturalistici ed edilizi.
Dispositivo:illegittimità costituzionale parziale
Atti decisi:ric. 69/2014
Il Corriere Veneto – 7 giugno 2015