Marco Zatterin. Promette di trattare col coltello fra i denti e, su qualche dossier, anche con la forchetta. «Non permetteremo che in Europa entri un solo grammo di parmigiano falso, non una bistecca agli ormoni e nemmeno Ogm non approvati dalle nostre parti», assicura Cecilia Malmstroem, commissario Ue al Commercio e negoziatrice per l’intesa di partenariato e libero scambio con gli Stati Uniti, «Ttip» per amici e nemici.
È un fascicolo che divide gli animi, difeso come motore di crescita e occupazione, osteggiato quale presunto freno a imprese e sovranità.
«Tutti gli studi meno uno – argomenta la svedese – stimano che l’intesa porterà benessere, ma noi vogliamo fare di più: puntiamo a annullare i dazi e stabilire nuovi standard globali, senza rinunciare a nulla. Questo deve essere molto chiaro».
È stato raccolto oltre un milione di firme europee per archiviare il Ttip, soprattutto in Germania e Austria. La richiesta è stata giudicata inammissibile: la pratica dell’iniziativa popolare, concede la signora Malmstroem, «non è ammessa dai Trattati “contro qualcosa”», così è partito un ricorso che difficilmente avrà fortuna. «I sondaggi dimostrano che gran parte dei cittadini è d’accordo – insiste Lady Trade -. Io sono pronta a sentire le ragioni di chi protesta, li ho visti, ci siamo parlati. È tuttavia dura intendersi con chi è per principio contro il libero scambio e gli Stati Uniti».
Un rapporto di Eurobarometro diffuso in gennaio afferma che il 58% degli italiani sostiene il Ttip, è esattamente la media europea.
Cecilia Malmstroem trova in questo, oltre che sul mandato avuto all’unanimità dai Ventotto, la ragione per continuare nella sua difficile opera. Dal giugno 2013 si sono svolti 8 round e altri due sono previsti entro l’estate.
«L’obiettivo – spiega – è cominciare da settembre la volata finale e avere un accordo prima che scada l’amministrazione Obama».
Il che, in pratica, vuol dire al massimo a inizio 2017. Ecco come.
I repubblicani sono liberoscambisti. La loro affermazione nelle elezioni americane di midterm è una buona notizia?
«Ho parlato con loro e i democratici. Giurano che il Ttip è l’unico dossier su cui intendono andare avanti insieme».
Vuol dire farcela prima del cambio alla Casa bianca?
«Siamo a metà strada, la parte più difficile abbiamo davanti. Speriamo. Anche se la qualità dell’intesa resta per noi più importante della rapidità con cui la si raggiunge».
C’è chi dice che il negoziato è in fase di stallo.
«Falso. Col Canada ci sono voluti 5 anni. Siamo a due…»
Gli Usa fatturano 20 miliardi l’anno coi falsi formaggi europei, dalla fontina all’asiago. Come intendete fermarli?
«Anzitutto non permetteremo che arrivino da noi prodotti proibiti, Ogm non autorizzati o cibi senza approvazione scientifica. In parallelo, chiediamo che il più alto numero di denominazioni geografiche protette sia accettato dagli Usa. Col Canada ne sono passate 154, molte italiane. Faremo lo stesso, insieme con l’azzeramento dei dazi su prodotti come birra e vino. E la moda. I benefici possono essere importanti».
C’è stata polemica a Bruxelles sul sistema comune di risoluzione delle dispute, il cosiddetto Isds. A che punto siamo?
«Pensiamo tutti che l’Isds debba restare, ma vada modernizzato. Ci sono troppe possibili interpretazioni, occorre eliminare il timore che possa essere sfruttato dalle aziende contro gli Stati. Vanno chiariti i comportamenti, impedendo che si danneggino gli interessi nazionali, anche con un sistema di ricorso».
Si è parlato della possibilità di alleggerire il menu dei negoziati per arrivare più facilmente alla fine. Possibile?
«No. Serve un patto complessivo. Un mini-Ttip è inutile».
Volete fissare nuovi standard, normativi e tecnici. Che succede se non ci riuscirete?
«Se il Ttip sarà fermato, lo faranno altri. Magari gli stessi americani con gli asiatici».
La Stampa – 3 marzo 2015