Paolo Mastrolilli, la Stampa. L’accordo commerciale fra Unione Europea e Stati Uniti Ttip è morto, almeno per ora, ucciso dalla crisi economica del 2008, dall’ondata populista in entrambi i continenti, dalla Brexit, e dalle elezioni imminenti in molti Paesi al centro delle trattative. A rendere ufficiale quanto già appariva ovvio a molti osservatori, è stato il ministro tedesco dell’Economia e vicecancelliere Sigmar Gabriel, che ieri ha parlato così in un’intervista: «I negoziati con gli Usa sono de facto falliti, perché noi europei non ci vogliamo assoggettare alle richieste americane. Le cose su questo fronte non si stanno muovendo». l vicecancelliere ha rivelato che durante la tornata di trattative all’inizio dell’estate non è stata trovata l’intesa su nessuno dei 27 capitoli in discussione. Washington poi sarebbe risentita per l’accordo Ceta concluso da Bruxelles col Canada, perché contiene vari aspetti ritenuti inaccettabili dagli Usa.
Il vice di Angela Merkel è socialdemocratico, e quindi sensibile alle obiezioni di un elettorato non maggioritario nel governo e in Germania. Detto questo, nessuno ormai crede che l’accordo possa essere raggiunto prima della fine dell’amministrazione Obama, o prima delle elezioni tedesche e francesi. Il Ttip è il trattato per la liberalizzazione dei commerci fra i due blocchi economici più grandi del mondo, che secondo i suoi promotori aggiungerebbe 119 miliardi di euro al Pil dell’Europa, 95 a quello degli Usa e 100 a quello del resto del globo. Le trattative finora sono state condotte in segreto, ma alcuni documenti ottenuti da Greenpeace hanno rivelato i punti più contesi. Gli europei, fra le altre cose, rimproverano agli americani di voler imporre i loro standard sull’agricoltura, la salute, l’ambiente, ad esempio eliminando ogni sostegno statale, abbassando le protezioni dall’uso dei pesticidi, favorendo i cibi Ogm. Le grandi multinazionali, poi, avrebbero il diritto di fare causa ai governi per contestare le loro regole, aggirando così le leggi per fare i propri interessi. Poi ci sono dispute sulla protezione della cultura e vari altri dettagli contestati.
Il presidente Barack Obama e la cancelliera Merkel hanno sostenuto il Ttip perché avrebbe vantaggi economici per tutti, ma il negoziato è durato troppo e nel frattempo il clima politico è cambiato e ormai la globalizzazione è diventata per molti una parolaccia. Donald Trump ha impostato la campagna elettorale contro quelli che chiama i «globalist», denunciando tutti i trattati commerciali che costano posti di lavoro e profitti all’America, ma anche Bernie Sanders ha basato il suo successo sulla denuncia della disuguaglianza economica favorita da questi accordi. Ora l’affossamento del Ttip avvantaggia Hillary perché la toglie dall’impaccio con l’opposizione interna di Sanders e priva l’avversario Trump di un’arma di propaganda. La stessa Hillary, già promotrice dei trattati quando era segretaria di Stato, ha preso ora posizione contro la Tpp che l’amministrazione Obama ha negoziato con gli alleati asiatici ma rischia di essere bocciata dal Congresso. In Europa un duro colpo al Ttip è venuto dalla Brexit, perché Cameron era un sostenitore dell’intesa, e gli Usa contavano sulla Gran Bretagna per spingere gli altri europei a cedere. Ora che Londra non è più al tavolo, e il populismo preme ovunque, il presidente francese Hollande ha detto che nella forma attuale non accetterà l’accordo, e Gabriel ha preso una posizione a cui forse sarà presto costretta anche la Merkel, se non altro per ragioni elettorali.
I timori: un’invasione di Ogm e e danni alle piccole e medie imprese
Secondo i critici gli standard ambientali e di salute verrebbero abbassati nel settore agroalimentare
Marco Bresolin. «Sarà una sconfitta per tutti». A inizio luglio il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, prevedendo un fallimento del Ttip, aveva già messo in guardia dai rischi legati a un flop della trattativa. La sua posizione non è cambiata. Dall’altro lato della barricata, i critici dell’accordo considerano il Ttip come il male assoluto, un’intesa che avvantaggerebbe soltanto le multinazionali a scapito dei consumatori, delle piccole-medie imprese e della sicurezza alimentare «che rischia un’invasione di prodotti Ogm e di carni con antibiotici».
Da mesi lo stop alle trattative è dato per certo per varie ragioni. Prima di tutto perché sul tavolo con gli Usa sono ancora parecchi i nodi da sciogliere, ma anche le imminenti elezioni in Francia e Germania non aiutano i leader europei a dare la giusta spinta per andare avanti. Il voto sulla Brexit, poi, ha ulteriormente appesantito l’agenda Ue.
Resta da capire la questione di fondo: tra gli 820 milioni di cittadini coinvolti, chi ci guadagna? Chi ci perde? Non è facile dirlo, perché i numerosi studi effettuati per valutare l’impatto del Ttip sull’economia europea e statunitense hanno dato esiti molto diversi tra di loro, frutto di una battaglia più ideologica che tecnica. Quelli citati dalla Commissione parlano di possibili guadagni per 119 miliardi l’anno per l’Unione (e solo 95 per gli Stati Uniti), che porterebbero più di 500 euro a famiglia l’anno (ne esistono anche di più ottimistici). Ma per altri l’impatto sarebbe addirittura negativo: per il centro austriaco di ricerca Öfse, il Ttip farebbe perdere circa 2,6 miliardi al bilancio europeo.
Il valore degli scambi giornalieri tra Ue e Usa è pari a 2 miliardi di euro e attualmente sono 30 milioni gli europei che lavano nei settori legati all’export verso gli Usa, mentre le imprese americane danno lavoro a 3,5 milioni di europei nel Vecchio Continente. Questo è un dato di fatto. Secondo la Commissione, con il Ttip quei dati sarebbero destinati a crescere.
Per le imprese europee che esportano, secondo l’Ue, ci sarebbero molti vantaggi legati anche al fatto che oggi spesso sono costrette a creare due produzioni diverse per i rispettivi mercati, con maggiori costi. Uno degli esempi che si fa spesso a Bruxelles è quello dell’industria automobilistica: tra Usa e Ue esistono diversi standard di sicurezza sulle singole componenti delle auto, anche se riferiti a livelli simili. Il Ttip andrebbe ad annullare queste differenze. Inoltre per le imprese Ue ci sarebbe la possibilità di partecipare su un piano di parità alle gare d’appalto pubbliche negli Usa.
Sempre per quanto riguarda l’export verso gli Stati Uniti, gli studi prevedono un aumento dei volumi pari al 28%. Questo tocca direttamente le 210 mila aziende italiane che esportano in America, anche se per i critici saranno solo le più grandi a trarne vantaggio, visto che la stragrande maggioranza dell’export italiano è concentrato in poche grandi imprese.
Se da un lato per il “made in” si aprono nuove opportunità, è la piccola-media impresa quella che maggiormente teme il Ttip, specialmente in ambito agro-alimentare. Le associazioni contrarie al trattato prevedono un’invasione di prodotti americani, venduti a costi inferiori e probabilmente anche a un differente livello qualitativo. Il timore è per un via libera agli Ogm e ai prodotti trattati in modo diverso, anche se l’Ue ha più volte ribadito che gli standard ambientali, di salute e di tutela dei consumatori attualmente in vigore in Europa continueranno ad essere rispettati.
La Stampa – 29 agosto 2016