La Corte dei Conti europea rimprovera (nuovamente) l’Ue per la gestione dei fondi destinati all’agricoltura. Conflitti d’interesse, assenza di una visione d’insieme e truffe. Di queste ultime si è resa protagonista anche l’Italia, con casi finiti nella aule giudiziarie. Ma è tutto il sistema a risultare poco trasparente, nonostante in questi anni Bruxelles abbia tentato di monitorare con maggiore attenzione le spese, ma è proprio tra i funzionari della capitale che si annidano alcuni tra i principali problemi, grazie ad un sistema di “porte girevoli” che consente di passare dai ruoli apicali dell’amministrazione europea, che assegnano i fondi, a quelli di gestione delle imprese che quei finanziamenti li ricevono.
Budget ingente
Secondo i giudici del Lussemburgo sussistono lacune nelle misure per rilevare, risolvere e segnalare i conflitti di interessi. E non si ha alcuna “visione d’insieme dell’ammontare di fondi dell’Ue soggetto a questo problema”. A questo si aggiunge l’assenza di misure sufficienti per aumentare la trasparenza e tutelare gli informatori. L’Unione europea spende la parte più ingente del suo budget per la politica agricola e per quella di coesione. Solo i fondi agricoli ammontano ad oltre 55 miliardi di euro. Aggiungendo quelli di coesione si arriva a 119 miliardi di euro sui 221 totali spesi dall’Ue nel 2021.
Sforzi e lacune
Nonostante le cifre ingenti versate per sostenere questo settore, secondo la Corte dei conti europea manca ancora un monitoraggio efficace delle situazioni a rischio. “Alla luce delle modifiche alla normativa e dei casi recenti, il nostro scopo è stato verificare se la Commissione e gli Stati membri abbiano affrontato adeguatamente la questione dei conflitti di interessi nella politica agricola comune e nella politica di coesione”, ha affermato Pietro Russo, il membro della Corte responsabile dell’audit. “La Corte ha riscontrato che sono stati compiuti sforzi per risolvere la questione, ma permangono lacune. La segnalazione dei casi andrebbe migliorata, per fornire una panoramica chiara degli importi interessati da conflitto di interessi”.
Disfunzioni
In cosa consistono questi conflitti? La normativa dell’Ue stabilisce che chiunque partecipi alla gestione dei fondi, sia a livello dell’Unione che nazionale, non debba trovarsi in una situazione di conflitto di interessi derivante da situazioni di “affinità politica o nazionale, interesse economico o qualsiasi altro interesse personale diretto o indiretto”. Si genera in questo caso, scrivono i giudici, una disfunzione nel processo di distribuzione dei fondi. Una volta individuato il conflitto, reale o potenziale, l’autorità competente dovrebbe garantire che la persona in questione cessi ogni attività nella materia. Ed è proprio quello che, spesso, non accade.
Porte girevoli
Il Mediatore europeo, un organismo indipendente e imparziale che analizza i reclami per episodi di cattiva amministrazione nell’ambito delle istituzioni e degli organismi dell’Ue, dal 2013 ha individuato circa 70 casi di conflitti di interessi. La maggior parte (44) riguardava situazioni verificatesi all’interno della Commissione, tra cui la questione delle “porte girevoli”, cioè la situazione in cui una persona si sposta tra un ruolo di funzionario e uno correlato nel settore privato. Nonostante le pratiche della Commissione risultino conformi alle norme, ha sottolineato il Mediatore, si potrebbe fare di più per rendere le leggi “più utili ed efficaci”.
Inattendibilità
Ci sono poi irregolarità che si producono a livello nazionale, a causa del ricorso alle autodichiarazioni, che risultano il metodo più utilizzato per evitare queste problematiche, ma che risultano spesso “inattendibili”. Altro problema deriva dal controllo incrociato delle informazioni, che risulta talvolta difficoltoso. Questo a causa di capacità amministrativa insufficiente, norme in materia di protezione dei dati e/o problematiche legate alla trasparenza. In alcuni casi, le autodichiarazioni in maniera paradossale non vengono chieste a soggetti decisionali di vertici. Ad esempio in alcuni Paesi esaminati (Germania, Malta, Romania e Ungheria), gli auditor della Corte hanno riscontrato che le autodichiarazioni non erano obbligatorie proprio per i membri di governo che partecipano alle decisioni sui programmi dell’Ue e sull’assegnazione dei relativi finanziamenti. La normativa prevede questo obbligo sin dal 2018.
Truffa italica
Altro caso limite analizzato riguarda l’Italia, dove è stata riscontrata a livello giudiziario una vera e propria truffa realizzata nel 2010. I delegati di un organismo che effettuava i pagamenti hanno fornito informazioni riguardo le parcelle agricole a soggetti terzi, rivelando loro che quelle parcelle non erano ancora oggetto di domanda di pagamento da parte di alcun agricoltore. I giudici italiani hanno incriminato queste persone perché avevano presentato domanda di pagamento per tali parcelle, senza averne titolo sotto il profilo giuridico e, soprattutto, senza svolgere alcuna attività agricola sul terreno. In merito a questa presunta truffa aggravata è stato avviato nel 2021 un procedimento penale tuttora in corso.
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