Giovani medici costretti a fare le valigie e partire. Se non dall’Italia, quantomeno dal Veneto. Il motivo? I posti messi a disposizione dal Miur per gli specializzandi di medicina sono troppo pochi rispetto alla domanda e alle necessità degli ospedali veneti. Nei giorni scorsi, ben 286 neodottori (più di un terzo del totale dei laureati a Padova e Verona, ossia 700 persone l’anno) hanno scritto al presidente del Veneto Luca Zaia, auspicando in un suo intervento, a fronte del fatto che «lo Stato non ha risposto al nostro appello».
«La carenza di medici di medicina generale e di medici specialisti – si legge nella lettera – sta acquisendo i connotati di una vera e propria emergenza per il nostro Sistema sanitario, il tutto nella più totale indifferenza dello Stato che continua a finanziare un numero di contratti di formazione specialistica basso rispetto ai concorrenti: 6.105 contratti per 15 mila medici». L’accesso alla specializzazione sarebbe diventato un «collo di bottiglia» e, denunciano i dottori, dopo aver investito nella «nostra» formazione, lo Stato destinerebbe i suoi medici al limbo di un precariato da cui i migliori e gli intraprendenti escono solo migrando all’estero.
I neolaureati delle facoltà di Medicina di Padova e Verona propongono al Palazzo Balbi una via d’uscita dall’impasse: borse di studio regionali per gli specializzandi. «La nostra Regione potrebbe essere la capofila delle richieste dei giovani medici», concludono i 286.
«La Regione già finanzia 90 borse di specializzazione, potrebbe finanziarne il doppio ma il problema resterebbe, il nodo è il Miur», spiega l’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto. Gli atenei italiani, medicina compresa, fanno capo al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, anche le specializzazioni rientrano nelle competenze di questo dicastero ed è questo che Coletto contesta. «Il Miur non riesce a formare più di 6.105 specializzandi – continua – ma noi è da tempo che chiediamo una riforma, nel 2014 firmammo il Patto per la salute che propone di introdurre specialità alternative nell’ambito di centri-hub regionali: il medico lavorerebbe e verrebbe pagato come funzionario e nel frattempo porterebbe avanti il suo percorso formativo alla cui conclusione diverrebbe dirigente».
Il numero dei medici, denunciano i neolaureati come anche Palazzo Balbi, sta diminuendo e a breve si profilerà un’emergenza nazionale. «Per il 2023 non avremo più dottori e li dovremo prendere dall’estero ma al Miur non interessa – tuona Coletto – il Ministero non conosce le urgenze che abbiamo, la programmazione dovrebbe essere in capo alla Regione perché io so quanti e quali medici mi servono, non lo Stato». In Veneto, ad esempio, c’è una seria carenza di anestesisti, pediatri e ginecologi e la situazione non sarebbe destinata a migliorare. «L’unica via d’uscita è scorporare la specializzazione dal ministero dell’Istruzione e passarla alla Sanità – conclude -, solo in questo modo Regioni e Ministero competente possono programmare numeri e corsi: dobbiamo poter disporre delle specialità per sopperire ai bisogni sanitari». Intanto a Rovigo, per un posto da infermiere ci sono 2.650 candidati.
Gloria Bertasi – Il Corriere del Veneto – 27 settembre 2017