Marco Zatterin. Ha già un nome in codice, la chiamano «madre di tutte le sanzioni», stimata in diverse centinaia di milioni, «potenzialmente sino a un miliardo». L’Italia rischia per la continua violazione delle norme sulla qualità dell’aria, ora che l’Ue rilancia le due procedure aperte da tempo contro Roma.
Quando arriverà – alla fine del lungo iter che hanno le procedure di infrazione europee e salvo colpi di scena non previsti – dover pagare la multa sembrerà però la migliore delle peggiori notizie, potrà parere quasi un’inezia rispetto al pedaggio di vite umane imposto dalla polveri sottili, alle 66 mila morti premature attribuite allo smog ogni anno, ai 695 mila anni di vita bruciati dall’ossigeno avariato e logorato dalla vita moderna.
La Commissione Ue, garante del rispetto delle norme che gli Stati si sono attribuite, sta per muoversi. Fonti concordanti rivelano che, per metà febbraio, è atteso il parere motivato (secondo stadio della procedura avviata nel 2015) che inviterà Roma a correggere lo sforamento dei limiti minimi di biossido di azoto contenuti nell’atmosfera, inquinante che scaturisce per il 40 per cento dal traffico stradale. Per marzo, secondo la tabella di marcia dell’esecutivo, c’è in canna un secondo parere per una seconda variazione sul tema dell’irregolarità, stavolta per le «Pm10», le polveri sottili, killer invisibile che uccide anzitempo da noi come in nessun altro Paese dell’Unione.
Qui l’Italia è in mora da anni. L’allarme di questi giorni, l’attesa spasmodica della pioggia che dovrebbe tornare domani nel Nord, rivela che il livello di allerta è alto. Siamo già stati condannati dalla Corte di Giustizia europea per la violazione dei limiti «Pm10» in 55 aree geografiche della penisola nel 2006 e 2007. Dall’anno successivo, ci siamo mantenuti regolarmente sopra i tetti di sicurezza. Il risultato di questa performance è che l’Italia è il terzo Paese per violazioni quanto a giorni vissuti oltre la soglia massima, ci superano solo Polonia e Bulgaria.
Nel 2015, nove zone hanno scardinato sistematicamente sia i limiti quotidiani che quelli annuali. Fra queste, eccellono nella disgrazia Piemonte e Lombardia. Dopo un lieve miglioramento nel 2013 e 2014, dovuto per lo più alle vicende climatiche, a Milano e Torino un giorno su tre è stato nel 2015 a rischio intossicazione.
Polveri e biossido di azoto, riferisce l’Agenzia europea dell’Ambiente, hanno provocato nel 2013 la morte prematura per 87.670 esseri umani che, sempre a leggere i numeri, avrebbero potuto vivere una decina di anni in più. Il legame di causa-effetto fra l’alta concentrazione d polveri sottili e le morti premature è riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità. C’è chi lo contesta, ma a Bruxelles non sono d’accordo.
«La verità è che ci sono oltre 400 mila morti premature in Europa per colpa della pessima qualità dell’aria – ha ammesso Karmenu Vella, commissario Ue all’Ambiente -. Sono milioni quelli che soffrono di malattie cardiovascolari e in Italia i morti anzitempo per il diossido di carbonio sono stimati a quota ventimila». «Bisognerebbe innalzare un monumento alle vittime ignote dell’inquinamento – suggerisce Monica Frassoni, copresidente dei Verdi europei -. Servirebbe a far capire che è una guerra».
Il maltese Vella giura che «abbiamo la normativa che occorre» e che «esistono le leggi per migliorare la qualità dell’aria», però «ventitré Paesi su ventotto non le rispettano». L’Italia ad esempio. Certo il governo Renzi ha compiuto un grande sforzo nel ridurre il numero di contenziosi sul cattivo o mancato recepimento delle norme Ue che ha contribuito a scrivere. Il taglio è stato netto. I dossier aperti sono tuttavia difficili. I depuratori, le discariche, i rifiuti. «Serve uno sforzo corale che investa capitale politico», suggerisce un tecnico della squadra del premier Gentiloni. Mica facile.
La difficoltà di ottenere un risultato virtuoso dipende anche dalla suddivisione di competenze fra Stato e Regioni. Dire che non funzionano come dovrebbero è un eufemismo. «Oltretutto l’Italia ha accettato oltre dieci anni fa limiti che non potevano essere davvero centrati», aggiunge una voce governativa.
Ora arrivano le conseguenze. Le due procedure di infrazione – biossido di azoto e Pm10 – passano dallo stadio di messa in mora a quello di parere motivato. L’Italia avrà due mesi per rispondere. In genere sono estesi, quindi si scivolerà all’autunno. Se non convinceremo la Commissione della capacità di ridurre le emissioni nocive finiremo alla Corte Ue entro l’anno. Per mondarci dovremmo rinnovare il parco macchine e applicare come si deve le norme antinquinamento per abitazioni (quasi metà del totale emissioni sottili) e industrie: è una questione normativa, amministrativa e di cultura. Una volta al tribunale di Lussemburgo, la condanna (la seconda nel caso delle polveri) porterebbe alla multa, da calcolare in «tot» migliaia di euro per ogni giorno di sforamento dal 2008 a oggi. Si farebbe presto ad arrivare a cifre con molti zero. Nel solo 2016 abbiamo pagato 300 milioni di sanzioni per il mancato rispetto del diritto comunitario. Con il pacchetto Ambiente potrebbe essere facile volare a un miliardo di euro, argomentano gli esperti. Destino inquinato davvero.
La Stampa – 1 febbraio 2017