La Stampa. La girandola dei medici a gettone: camici itineranti che fanno spola da un pronto soccorso all’altro, da una chirurgia all’altra per tamponare i buchi di organico. Medici pagati a incarico. E non poco. Un fenomeno in «preoccupante» aumento che impoverisce le finanze statali e rischia di ridurre la qualità professionale.
Da Torino a Roma si diffonde l’allarme dei magistrati della Corte dei Conti: per salvare la sanità pubblica dalla penuria di medici, dalle liste d’attesa interminabili per prestazioni diagnostiche e specialistiche, dall’assedio di pazienti in barella, servono nuove strategie, risorse e soprattutto più personale «stabilizzato» negli ospedali.
Nei giorni scorsi la presidente della sezione controllo della magistratura contabile piemontese, Maria Teresa Polito, a conclusione dell’analisi annuale del bilancio della Regione, ha deciso di scrivere al ministro della Sanità, Orazio Schillaci per sollevare l’allarme sulla proliferazione dei contratti a gettone in corsia. «Questa situazione – afferma la presidente Polito -, che i dirigenti ospedalieri conoscono bene ma non riescono ad arginare, sta assumendo livelli allarmanti: occorrono soluzioni tempestive per porvi rimedio. Soprattutto in vista degli importanti investimenti connessi al Pnrr: le assunzioni periodiche e temporanee fino al 2026 del personale sanitario, ad esempio, non possono considerarsi delle soluzioni adeguate rispetto agli investimenti individuati per la creazione delle case e degli ospedali di comunità».
Negli ultimi anni le aziende sanitarie regionali hanno fatto sempre più ricorso a contrattati a tempo determinato, affidandosi a convenzioni con cooperative professionali per sopperire alle carenze di medici nei reparti che forniscono servizi essenziali. Un riflesso, osserva la Corte dei Conti, di una programmazione inadeguata che non ha difeso la qualità della sanità pubblica. Alterando così il bilanciamento tra domanda sanitaria e offerta di medici per soddisfarla.
Nelle 18 aziende ospedaliere piemontesi, si legge nelle relazione presentata ieri a Torino in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della magistratura contabile, questi rapporti sono quasi decuplicati. Un salasso. E non solo. I giudici della sezione controllo, incaricati di vigilare con un’ottica preventiva sui bilanci degli enti pubblici, hanno rilevato il sistematico «abbandono delle strutture pubbliche da parte dei medici». Un cambio di rotta verso il settore privato che «accentua i costi del servizio sanitario e non assicura quella continuità assistenziale adeguata».
Colpa della continua girandola degli incarichi a gettone. I medici finiscono così per lavorare in ospedali diversi, a contatto con esperienze diverse, perdendo in altre parole «continuità formativa». Tutto ciò a scapito dei cittadini: da una parte nelle veste di contribuenti, attraverso le tasse, e dall’altra come pazienti, quando vengono ricoverati o sottoposti a visite. Poi c’è un altro problema. Le verifiche sui rapporti di convenzione. «Questa frammentazione di incarichi da un ospedale all’altro – aggiunge la presidente Polito – non rende agevole l’attività di verifica». E aggiunge: «Non esistono regole di accreditamento che impongono standard comuni nella definizione delle convenzioni». Infine, cosa tutt’altro che trascurabile se si considerano gli incarichi in ballo, «i controlli che le aziende sanitarie dispongono sui servizi resi vengono svolte ex post».
Anche la procura regionale del Lazio ha acceso un faro sul fenomeno. «La questione – ha detto il procuratore Pio Silvestri – è di recente esplosa in tutta la sua problematicità mettendo in rilievo le difficoltà in cui opera, a causa della mancanza di personale e di retribuzioni non sempre adeguate, il personale medico del servizio pubblico. Il nostro intento sarà quello di verificare possibili omissioni nella individuazione di profili organizzativi che potrebbero consentire alle aziende ospedaliere, di far fronte alle esigenze della medicina soprattutto quella di urgenza».
Soluzioni? Per invertire la rotta si potrebbe rivedere la regola del numero chiuso a medicina o alzare l’asticella dei limiti nei bandi per le scuole di specializzazione. Oppure restringere i piani di «rientro nelle regioni con elevati disavanzi finanziari». In altri termini, poi, il ricorso ai medici a gettone, sottolineano i giudici piemontesi «è una formula organizzativa non adeguata, sia sotto il profilo economico-finanziario, sia della qualità del servizio reso, con evidente danno di un diritto essenziale come quello della salute, costituzionalmente tutelato». —