Con il vertiginoso aumento dei contagi (più 3.414 ieri, gli infetti oggi in Veneto – o almeno quelli scoperti – sono 93.397) e con le conseguenti, inevitabili difficoltà nel tracciamento (con una media di 8 contatti stretti a contagiato parliamo di 27 mila persone a cui risalire solo nella giornata di ieri), il sistema di testing nelle scuole sembra essere collassato. Un problema per la sanità regionale, cui rischiano di sfuggire possibili focolai; per le famiglie, preoccupate per i nonni attorno a cui ruota buona parte dell’organizzazione domestica; e per le stesse scuole, in difficoltà nel fornire ai genitori in ansia le informazioni di cui avrebbero bisogno, dal momento che dai Sistemi di prevenzione e igiene provinciali (i Sisp) arrivano informazioni diverse e spesso in contraddizione tra loro.
Eppure il protocollo messo a punto dal Dipartimento di prevenzione in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, è chiaro: se uno studente sopra i 6 anni è positivo (la comunicazione della positività va dalla famiglia alla scuola e dalla scuola al Centro covid), immediatamente il Sisp dà ordine di sottoporre a tampone rapido l’intera classe (il risultato è disponibile in pochi minuti ma quasi sempre, a causa della mole di test da processare, si ricorre a una sorta di silenzio-dissenso: se l’Usl non richiama entro un paio d’ore, i genitori possono supporre la negatività); se il resto della classe è negativo, gli studenti proseguono le lezioni in presenza come al solito seguendo alcune misure di cautela come percorsi ingresso, uscita e ricreazione diversi dalle altre classi o bagni dedicati, fino ad un secondo tampone di verifica normalmente fissato cinque giorni dopo. Se invece uno altro studente, anche uno soltanto, risulta positivo e il conto complessivo dei contagiati sale quindi a due (o più) allora si chiude la classe e tutti gli alunni vanno in Dad, la didattica a distanza, fino alla negativizzazione dei casi positivi e al tampone di fine quarantena, che ovviamente dovrà essere negativo.
«Il protocollo non è mai cambiato, nessuno ha dato ordine di modificarlo» hanno detto ieri all’unisono il presidente Luca Zaia, l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin e la direttrice del Dipartimento Francesca Russo. E però da Treviso a Venezia, da Padova a Verona, si moltiplicano le segnalazioni di procedure diverse, non in linea con le indicazioni regionali: c’è la scuola in cui dopo un caso di positività il Sisp non ha mai disposto il tampone per il resto della classe; quella in cui il tampone è stato sì disposto, ma a distanza di 4-5 giorni dalla scoperta della positività, con conseguente rischio di contagio nel frattempo per gli altri studenti; quella in cui il tampone alla classe è stato ordinato solo a seguito di positività da tampone molecolare e non da tampone rapido, anche qui con conseguente slittamento dei tempi (peraltro, perché non fidarsi del risultato del test rapido, se poi è proprio a quello che si sottoporrà il resto della classe?).
Molti genitori ricorrono sempre più spesso ai privati (un tampone può costare 45 euro) ma per Zaia si tratta di «un disservizio grave e inaccettabile» per cui ieri Russo e Lanzarin hanno convocato una riunione urgente per ristabilire univocità di comportamento da parte di Sisp e scuole. «Ma forse si dovrebbe discutere un po’ più approfonditamente della questione – ha concluso Zaia – perché tenere aperte le scuole, riportando addirittura i ragazzi delle superiori sui banchi il 7 gennaio, mentre tutto il mondo parla di lockdown a me pare un azzardo enorme».
Marco Bonet, Corriere del Veneto