Gli Stati Uniti potrebbero vietare l’uso non terapeutico degli antibiotici negli allevamenti. Dopo 35 anni di tentennamenti, la Food and Drug Administration, l’ente americano che si occupa di alimenti e farmaci, dovrà riprendere in mano la vecchia questione degli antibiotici usati negli allevamenti come promotori di crescita o per prevenire malattie (profilassi). A imporlo è una sentenza emessa da una corte federale di New York lo scorso 20 marzo, a seguito di una denuncia di cinque potenti associazioni per la difesa dei consumatori e dell’ambiente. La strada in realtà è ancora lunga, ma è chiaro che la definitiva messa al bando del ricorso facile agli antibiotici (in particolare penicilline e tetracicline) negli allevamenti diventa sempre più probabile.
Vediamo qualche dettaglio in più. L’abitudine di arricchire con piccole dosi di antibiotici i mangimi, in particolare per polli e maiali, risale all’inizio degli anni cinquanta. L’aggiunta non serve per curare infezioni, ma per promuovere la crescita – gli animali ingrassano di più e più in fretta – e per ridurre il rischio di diffusione di malattie in un ambiente affollato. Già vent’anni dopo, però, si comincia a sospettare che questa abitudine sia collegata allo sviluppo di ceppi batterici resistenti agli antibiotici: una grossa minaccia per la salute umana. Anno dopo anno, le prove del collegamento si accumulano (vedi articolo): l’ultima conferma viene da uno studio di poche settimane fa, in cui un gruppo di ricercatori americani mostra un’associazione specifica tra l’uso di antibiotici in allevamento e lo sviluppo di un ceppo particolare di stafilococco resistente alla meticillina, MRSA CC398.
A fronte di questa massa crescente di dati, l’Europa si muove per prima e nel 1997 emette il primo divieto, specifico per l’avoparcina. Dal 2006 il bando è completo: nessun antibiotico può essere utilizzato negli allevamenti europei come promotore della crescita. In realtà, in alcuni paesi (pochi e marginali), la norma non è stata ancora pienamente recepita, per cui lo scorso novembre il Parlamento europeo ha votato una risoluzione ( sulla resistenza agli antimicrobici che invita la Commissione a presentare proposte legislative che puntino a eliminare una volta per tutte l’uso degli antibiotici non terapeutici negli allevamenti. In America, invece, il percorso appare più accidentato.
Già nel 1977 la Food and Drug Administration (FDA) emette una nota in cui dichiara ufficialmente che basse dosi di penicillina e di tetracicline usate a scopo non terapeutico possono promuovere lo sviluppo di ceppi resistenti agli antibiotici. Inoltre, precisa che per chiarire la situazione intende sentire i produttori dei farmaci, con l’obiettivo di valutare un eventuale divieto a questo tipo di utilizzo. Da allora, però, non è stato fatto niente di concreto: le audizioni con i produttori non sono neppure cominciate. Oggi si stima che il 70% di tutti gli antibiotici distrituibiti negli Stati Uniti sia usato negli allevamenti per la profilassi o la promozione della crescita; solo il 10% è usato per curare animali malati, mentre il restante 20% è impiegato nell’uomo.
Diversi gruppi di cittadini hanno presentato petizioni per spingere l’FDA all’azione, ma sempre senza risultato. Così, nel maggio scorso, cinque associazioni – National Resources Defense Council, Center for Science in the Public Interest, Food Animal Concerns Trust, Public Citizen e Union of Concerned Scientists – si sono messe insieme e hanno denunciato l’agenzia a una corte federale di New York. Per i ricorrenti era impensabile che l’FDA non avesse preso alcun provvedimento per ridurre l’uso non terapeutico di antibiotici pur ritenendolo pericoloso.
Per tutta risposta, lo scorso dicembre l’ente ha addirittura ritirato la nota del 1977, probabilmente sperando che questo facesse cadere le basi del ricorso. Come dire: se non affermo più che gli antibiotici sono pericolosi, non mi puoi accusare di non far nulla per vietarli. Il giudice, però, l’ha presa diversamente, emettendo una sentenza che – se pure non obbliga l’agenzia federale a vietare l’uso non terapeutico di penicillina e tetracicline – le impone comunque di ricominciare quel percorso che aveva avviato 35 anni fa. In sostanza, di sentire i produttori e, se questi non saranno in grado di dimostrare che l’uso di questi farmaci a tappeto nei mangimi è sicuro per la salute umana, emettere un divieto per il loro utilizzo. Certo è un percorso abbastanza tortuoso, considerato che, come dicevamo, di prove del rischio ce ne sono ormai in abbondanza. Del resto, però, si può solo immaginare quante pressioni l’ente regolatorio abbia ricevuto in questi anni dall’industria farmaceutica e dai suoi rappresentanti al Congresso.
Il fatto alimentare – 10 aprile 2012