Le attività a maggior rischio possono essere individuate utilizzando modalità mutuate dalle procedure di certificazione di qualità. Entro il 31 dicembre 2014 tutte le amministrazioni pubbliche e le società partecipate hanno dovuto approvare il piano anticorruzione per il triennio 2015-2017. Ora, però, è necessario adeguare il piano tenendo conto delle indicazioni contenute nel modello di relazione predisposto dall’Autorità Anticorruzione, che i responsabili hanno pubblicato sul sito internet dell’ente entro lo scorso 31 dicembre.
Il piano ha valenza triennale, ma deve essere adeguato ogni anno. Può comprendere anche il piano per la trasparenza, che può comunque avere la veste di un documento autonomo. La proposta di piano anticorruzione deve essere presentata necessariamente da parte del responsabile per la prevenzione della corruzione, che di norma è negli enti locali il segretario. È opportuno ricordare che, sulla base delle disposizioni introdotte dalla legge 56/2014 (la cosiddetta Del Rio), le attività di prevenzione della corruzione e l’individuazione del responsabile possono essere effettuate in modo associato tramite le unioni dei Comuni. Prima della formalizzazione della proposta di piano il responsabile anticorruzione deve raccogliere il parere dei dirigenti per l’individuazione delle attività a più elevato rischio di corruzione. Spetta alle singole amministrazioni valutare l’opportunità (è auspicabile) di raccogliere il parere di sindacati, associazioni e singoli cittadini, nonché di pubblicare sul sito internet la proposta di piano. La deliberazione del piano spetta alla giunta e il documento deve essere pubblicato sul sito internet dell’ente nella sezione “Amministrazione trasparente”.
L’individuazione dell’attività a più elevato rischio di corruzione può essere fatta sulla base delle esperienze maturate nell’ente o, come suggerito dal piano nazionale, utilizzando modalità mutuate dalle procedure di certificazione di qualità: gli indici di valutazione delle probabilità e dell’impatto. Appare, inoltre, opportuno modulare il grado di rischio delle singole attività, utilizzando lo stesso metodo. Per ciascuna attività a maggior rischio di corruzione si devono prevedere forme di prevenzione, quali l’intensificazione dei controlli, la fornitura di informazioni al responsabile anticorruzione, il monitoraggio dei rapporti con i beneficiari dei provvedimenti, la rotazione dei dirigenti e dei dipendenti.
Sulla base delle indicazioni contenute nella relazione dei responsabili anticorruzione è necessario che le amministrazioni effettuino degli specifici controlli sui rapporti che si stabiliscono tra i dipendenti cessati dal servizio e le società private che hanno rapporti con l’ente. È vietato a coloro che hanno assunto decisioni per conto dell’ente nei confronti di privati di svolgere con gli stessi attività di lavoro subordinato o di consulenza per i tre anni successivi. A carico della società che viola questa disposizione è prevista l’irrogazione del divieto di contrattazione per tre anni. Uno strumento utile può essere l’autocertificazione da parte della società e/o l’inserimento di una tale clausola nel contratto.
Gli enti devono inoltre valutare l’opportunità di considerare a rischio di corruzione le attività di verifica e controllo.
Un’altra attività cui lo schema di relazione dei responsabili dedica particolare attenzione è costituita dalla verifica che i dipendenti non svolgano attività ulteriori se non previa autorizzazione, nel rispetto dei vincoli dettati dal legislatore e per attività che l’ente in sede regolamentare non ha giudicato essere caratterizzate da conflitto d’interessi.
È utile prestare la massima attenzione all’utilizzo dell’opportunità per cui l’ente dia avvio alle procedure informatizzate per la produzione delle informazioni da pubblicare sul sito internet dell’ente.
Il Sole 24 Ore – 26 gennaio 2015