Un bambino non può essere vegano o vegetariano per scelta di un solo genitore. Costringere la figlia minore a un regime alimentare riduttivo per il pasto a scuola non è consentito. Nel disaccordo dei genitori, la scelta del Tribunale non può che essere orientata verso il regime alimentare assicurato nelle scuole, cioè di fatto da quanto stabilito dai competenti ministeri per la generalità degli studenti.
Con il decreto camerale (giudice relatore Velletti) del 19 ottobre scorso, il Tribunale di Roma ha affermato un principio guida molto chiaro e rilevante per tutti i casi in cui il giudice della famiglia, si trovi a dover regolare il contrasto tra due genitori sul regime alimentare da far seguire alla prole a scuola.
Il procedimento è stato introdotto con ricorso dal padre di una bimba di tre anni e mezzo, che lamentava le proprie difficoltà a vedere e tenere con sé la piccola durante i periodi concordati nell’accordo determinato dal Tribunale l’anno prima, per il comportamento ostruzionistico della madre. Egli denunciava anche il fatto che la madre, unilateralmente, avesse obbligato la piccola, ad osservare una «stretta dieta vegana» in occasione del pranzo quotidiano che le veniva somministrato dalla scuola, cosa che avrebbe determinato una minor crescita di sua figlia rispetto alle bambine coetanee.
Così il padre chiedeva al Tribunale di mutare l’allocazione della figlia, radicandola presso di sé, e comunque chiedeva inoltre che venisse assicurato il rispetto del calendario che regolava la permanenza della bimba con lui. Infine, il padre dichiarava la sua opposizione radicale alla scelta alimentare praticata dalla madre, chiedendo che il Tribunale decidesse circa la dieta della figlia all’asilo.
Il Tribunale osservava che, in riferimento alle difficoltà di visita e frequentazione tra la figlia ed il padre, c’era effettivamente stata una minor frequenza degli incontri. Per questo sanciva il loro immediato ristabilimento, con uno specifico calendario che prevedeva – dopo un primo momento di ricostruzione dei contatti tra la piccola ed il genitore – la ripresa del pernotto, riservandosi poi ogni ulteriore provvedimento all’esito dell’esame dei rapporti mensili dei servizi sociali.
Quanto alla diversa e più importante domanda per la tutela della salute della bambina, il collegio osservava che agli atti del processo c’erano specifiche certificazioni mediche che attestavano come la piccola fosse «da collocare al 15° percentile della curva gaussiana che registra la crescita, dato che indubbiamente, ed a prescindere dalle condizioni di buona salute e dall’assenza di qualunque condizione patologica, la pone nella fascia di minore accrescimento, considerate le pari di età».
Ciò posto, il Tribunale così inquadrava la questione : «Il regime alimentare normalmente seguito nelle scuole è quello che prevede l’introduzione nella dieta di qualunque elemento senza restrizioni». Di conseguenza una tale scelta, sottoposta per sua natura allo stretto controllo pubblico delle mense, scongiura i rischi prospettati dalla madre di una crescita pregiudicata dalla presenza di carne, pesce o cibi confezionati. Infatti, aderendo a tale prospettazione, vegana o vegetariana che fosse, dovrebbe ritenersi che, nelle mense scolastiche, venga compromessa la salute di tutti i bambini che seguono un “normale” regime alimentare.
La conclusione del ragionamento si è tradotta in un provvedimento immediatamente esecutivo con cui si «dispone che la minore segua nella scuola frequentata una dieta priva di restrizioni».
Giorgio Vaccaro – Il Sole 24 Ore – 10 novembre 2016