Andrea Tornago, Repubblica. Con altri 1.543 nuovi casi nelle ultime 24 ore il Veneto sembra aver superato stabilmente la soglia dei mille positivi al giorno. Ma il contagio a Nordest viaggia a velocità diverse. Impensierisce Venezia. Morde a Vicenza. Galoppa nel Trevigiano, fortino elettorale del governatore Luca Zaia e nuovo riferimento regionale per la diagnostica e la sorveglianza dell’epidemia: è proprio al laboratorio di Treviso, diretto dal dottor Roberto Rigoli, che la Regione in estate ha affidato il coordinamento delle 14 microbiologie del Veneto, prima di competenza dell’Università di Padova e del professor Andrea Crisanti, il padre del “modello Veneto”, con cui la rottura è ormai totale. L’incremento dei tamponi e i piani di sorveglianza di Crisanti per la politica regionale oggi sono il passato, soppiantati dai nuovi test rapidi sperimentati proprio a Treviso da Rigoli e validati dallo Spallanzani.
Ieri in provincia sono stati registrati 268 nuovi casi e i contagi nei giorni scorsi hanno sfiorato quota 400, mentre il numero degli attualmente positivi, 2.704, è notevolmente superiore a quello delle altre province venete. Da due giorni, dato l’elevato numero di contagi, l’ospedale cittadino ha attivato un punto tamponi notturno.
Esiste un problema Treviso in Veneto? Non per Zaia, che ha escluso il ricorso a lockdown nella regione. L’ultimo piano d’emergenza, approvato lo scorso 20 ottobre, prevede per l’attivazione di misure solo il monitoraggio di indicatori ospedalieri, come ricoveri e terapie intensive, e al momento gli ospedali hanno numeri gestibili: 35 ricoverati al Ca’ Foncello di Treviso, 34 a Vittorio Veneto e altri 7 negli “ospedali di comunità”.
La diffusione del virus sul territorio però sembra sempre più difficile da controllare. Il direttore dell’azienda sanitaria, Francesco Benazzi, ha reso noto che a Treviso per ogni positivo vengono trovati altri tre contagiati nella cerchia stretta dei contatti. La Regione però non rende noto l’indice di riproduzione (Rt) del Sars-CoV-2 suddiviso per provincia.
Intanto il virus è entrato anche nel dipartimento di prevenzione “La Madonnina” dell’Ulss, che si occupa delle inchieste epidemiologiche, dei tracciamenti e di isolare i contatti dei positivi: il focolaio a ieri contava 15 persone, finite in quarantena e costrette a sguarnire la prima linea, mentre è ancora in corso la ricerca dei loro contatti. I positivi nel dipartimento sono «amministrativi che si occupano del tracciamento — spiega il direttore dell’Ulss, Benazzi — per fortuna non sono operatori che fanno tamponi o vaccinazioni». Per sostituire i medici malati e supportare gli operatori nel contenimento del contagio sono stati chiamati alle armi anche i veterinari, che in questo momento stanno effettuando il contact tracing. Il loro contributo era già stato richiesto lo scorso agosto, quando servivano rinforzi per gestire i molti contagi e i importanti focolai scoppiati in centri di accoglienza e grandi aziende, casi chiusi ma che per l’Ulss potrebbero aver avuto un ruolo nella propagazione del contagio.
Per un errore dell’azienda sanitaria il contagio è entrato anche nel reparto di chirurgia pediatrica dell’ospedale di Treviso: a un genitore che doveva assistere il figlio, sottoposto a un intervento, è stata comunicata in ritardo la positività. «Da alcuni giorni usiamo solo test rapidi — ricostruisce il direttore dell’Ulss — ma il padre era stato sottoposto, non si sa perché, a un tampone molecolare classico che richiede 48 ore. Al contrario del figlio, che era negativo, lui è risultato positivo». In seguito anche il bambino, nuovamente testato, è stato trovato positivo al Covid. Altri sei tra pazienti e genitori presenti in reparto in quei giorni sono stati testati, e per il momento non hanno contratto l’infezione.