di Federico de Wolanski C’è chi taglia l’erba dei campi con le macchine, Marco lo fa con un gregge di pecore, capre, montoni, due asini e un cavallo. Faceva l’orafo, ora fa il pastore. Viveva in laboratorio, ora all’aria aperta. Una volta aveva le ferie, adesso nemmeno un giorno di pausa.
«Ma volete mettere? Vivo dall’alba al tramonto, vivo un tempo mio, vero. Quel ritmo che anni fa scandiva la vita di tutti». Certo, detta così pare l’ennesima romantica storia di un ritorno alle origini, di chi ha risposto alla frenesia della vita quotidiana e alla crisi economica staccando il piede dall’acceleratore. Ma la vita di Marco Boldrin, 43 anni, veneziano d’origine, è anche tanta fatica. «Non è che fare il pastore sia dimenticarsi delle responsabilità, delle scadenze, degli impegni. Una volta erano lavoro e clienti, ora ogni singolo animale». Il gregge oggi è la sua vita, animali sani o malati è la differenza tra spese e guadagni, intoppi, fortune. La sua casa, un roulotte di sei metri quadrati o poco più, si sposta lungo il tragitto del gregge tirata da una vecchia Renault che nei due posti davanti porta uomini, dietro i cuccioli delle pecore, troppo piccoli per i trasferimenti. Ieri era a Silea, vicino alla centrale elettrica, oggi verso S. Antonino, a Treviso. Si sposta da monti a valle seguendo la linea retta della Claudia Augusta, cercando campi da far brucare ai suoi animali ma soprattutto accordi con i proprietari terreni e i comuni. «Gli animali hanno bisogno di mangiare e molti hanno campi e terreni da ripulire e concimare. Semplice no?». Ma i tempi sono cambiati, ed andare da nord a sud e poi rifare il tragitto contrario è una sfida. «Non ci sono solo le strade, le ferrovie, le autostrade e le città metropolitane a rendere difficile il tragitto», racconta Marco, «oggi ci sono i divieti, quelli che cacciano noi pastori da interi comuni. E poi le doppiette…». La transumanza diventa quindi un’avventura, pianificata con Google Earth (pastore sì, ma pur sempre 2.0 ndr) e affrontata giorno per giorno a suon di nulla osta di veterinari, passi dei comuni e sfide al traffico . È partito da Seren del Grappa. «Lì ho lavorato anni, grazie ad un accordo con il sindaco il gregge è diventato un modo per ripulire pendii e riscoprire antichi pascoli», prosegue Marco, «poi abbiamo dovuto lasciare la zona e allora mi sono detto: che faccio? Ci ho pensato ed ho deciso di partire verso valle». A rompere l’idillio… un campo di cipolle. «Ci ha fatto piangere a tutti» scherza, «a me, agli animali che se lo sono divorato, ma soprattutto al proprietario». Marco prende la vita sorridendo. «Ma è una bella fatica. Non c’è pausa, non c’è vacanza, non c’è comodità. Pioggia, neve, vento e sole sono qui, con il gregge. Chi me lo fa fare? Non certo i soldi (vive con quel poco che incassa con animali e formaggi, ndr), nè i risparmi – zero – ma l’aria, i paesaggi, l’affetto delle persone che incontro. Gli occhi che vedono il sole levarsi e tramontare». Prima di fare il pastore, mollato il lavoro di orafo a Mestre, è partito per i monti, ha preso residenza ad Alano di Piave e si è messo a fare il boscaiolo. «Castagni soprattutto». Da lì l’idea di unire la cura dei boschi all’allevamento. «Ho iniziato facendo l’aiuto pastore» racconta, «dopo sei mesi ero da solo: quattro animali (tutte femmine), una bicicletta, una rete e una batteria per alimentare la recinzione elettrica. Cosa ho fatto subito? Venduto una femmina per prendere un montone…». Giusto. E il gregge oggi conta oltre cento animali adulti e tanti nuovi nati. Certo, il gregge quando passa sporca. Ma sulle lamentele vincono le fotografie di chi si ferma, ammirato, a guardare un altro tempo che passa
La Tribuna di treviso – 13 gennaio 2014