Chi si aspetta un ritorno ai livelli di consumi pre-crisi da parte degli italiani è destinato – con tutta probabilità – a restare deluso. Il report Istat sulle spese delle famiglie italiane nel 2016 conferma infatti la moderata ripresa avviata nel 2014 (+1% rispetto al 2015 e +2,2% rispetto al 2013, anno del record negativo), ma gli stessi dati mettono in evidenza uno spostamento dei consumi che della lunga crisi portano i segni. Forse, in prospettiva, più positivi che negativi e tuttavia in direzione di una maggiore oculatezza e riflessione.
L’Italia salutista
Lo conferma lo stesso presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, commentando il report diffuso ieri e in particolare i cambiamenti nei consumi alimentari, con la spesa per frutta e verdura aumentata del 3,1%, quella per pesci e prodotti ittici del 9,5%, contestuali a un calo della spesa per la carne (-4%).
È un’Italia che, dopo la “grande paura” degli anni della crisi, sembra tornata a investire sul proprio futuro, osserva Michele Costabile, professore di Marketing alla Luiss e direttore del centro ricerca X.ite sui consumatori e le tecnologie. Così si possono leggere non solo l’aumento della spesa per un’alimentazione più sana, ma anche la ripresa dei consumi in beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (+2,9). «Con la crisi le famiglie avevano tagliato inizialmente i capitoli più costosi e ritenuti non necessarie, come lo sport, la cultura, i cibi pregiati e persino alcune spese sanitarie e mediche», fa notare Costabile. Superata la paura si torna a spendere, ma la spesa è stata redistribuita tra le categorie merceologiche, con la tendenza a privilegiare prodotti e servizi che possono aiutarci a vivere meglio domani e dopodomani: cultura, sana alimentazione, benessere.
Nuovi stili di vita
La fiducia nel futuro è confermata anche dalla sensibile diminuzione delle famiglie che, nel 2016, dichiarano di non aver cercato di limitare la spesa rispetto all’anno precedente. Gli italiani dunque tornano a spendere, ma meno che in passato: la media mensile per famiglia, che nel 2016 ha raggiunto i 2.524,38 euro, resta ancora sotto i valori del 2011 (2.639,89 euro). «Non è una scelta pauperistica – osserva Luca Pellegrini – ma il riflesso di una lunga crisi che ha portato molte persone a ripensare il proprio stile di vita e le priorità per stare bene. Perciò stanno ripartendo ad esempio i consumi per la ristorazione fuori casa, per i servizi ricreativi o per il “bellessere”, mentre restano stagnanti quelli, ad esempio per l’abbigliamento».
Le spese per l’abitazione restano comunque la voce più consistente, pari al 35,8% del totale (contro il 36,1% del 2015), seguite da quelle alimentari, che rappresentano il 17,7% del totale a livello nazionale, in linea con l’anno prima.
Territorio e sociologia
Differenze significative si registrano a seconda della tipologia di famiglia, della sua origine e dell’area geografica di residenza. Differenze, fa notare Pellegrini, che dovrebbero essere studiate a fondo e tenute in considerazione dagli operatori del commercio. A cominciare da quella tra famiglie più o meno numerose e single o coppie senza figli. Queste ultime due categorie hanno una propensione al consumo decisamente superiore, con una spesa media mensile per componente rispettivamente di 1.784 e 1.311 euro al mese, contro i 982 euro di una famiglia di tre persone, o meno di 700 euro per famiglie di cinque persone.
Altri elementi di differenziazione sono l’origine delle famiglie (con quelle straniere che spendono 1.000 euro in media in meno di quelle italiane) e il titolo di studio dei componenti.
Si riduce invece il divario tra Settentrione e Mezzogiorno, anche se la forbice resta molto elevata: nelle regioni del Nord-Ovest la spesa media mensile è salita nel 2016 a 2.839 euro (+1,5%), mentre al Sud supera appena i 2mila euro (+1%) e nelle Isole si ferma a 1.942 euro (+2%). Si amplia invece il divario tra città metropolitane e comuni sopra i 50mila abitanti (circa 376 euro contro i quasi 100 del 2015) o tra città metropolitane e comuni con meno di 50mila abitanti (491 euro al mese, contro i 200 dell’anno prima).
Giovanna Mancini – IL Sole 24 Ore – 7 luglio 2017