Tre casi di peste suina africana sono individuati in un allevamento di Dorgali. I casi accertati sono riconducibili al genotipo due. Il risultato degli esami sui campioni conferma i sospetti avanzati sin dalle prime battute. “Parliamo di una variante non autoctona della Sardegna, ma oggi presente in Italia in diverse regioni. Si tratta quindi di un contagio di ‘importazione’ e attualmente sono in corso le indagini per capire esattamente quali siano le dinamiche che hanno dato origine al focolaio nell’allevamento”, dichiara l’assessore regionale della Sanità, Carlo Doria.
L’ultimo virus del focolaio di peste suina africana, a Dorgali, è lo stesso che ha devastato gli allevamenti del Nord Europa e ora della Lombardia. Il «genotipo 2», dunque, è stato importato. La conferma è arrivata dalle contro analisti effettuati nei laboratori dell’Istituto zooprofilattico sulle carcasse dei tre maiali infetti e poi abbattuti in un allevamento di Dorgali. I sospetti della vigilia hanno trovato il peggiore dei riscontri.
«È una variante non autoctona, ma oggi presente in Italia in diverse regioni. Di conseguenza, è un contagio d’importazione e sono in corso le indagini per capire esattamente quali siano state le dinamiche che hanno dato origine al focolaio», ha detto l’assessore alla sanità, Carlo Doria. A questo punto, com’è accaduto con la precedente ondata di peste suina, adesso debellata, la Sardegna è rimasta vittima di quella che potrebbe essere definita un’invasione arrivata dal mare. Dal canto suo il proprietario dell’allevamento finito sotto osservazione ha fatto sapere di non aver importato maiali vivi dalla Penisola in questi ultimi mesi.
Allora cosa potrebbe essere accaduto? Il «ceppo 2» potrebbe essere arrivato in Sardegna quest’estate, semmai dentro alcuni salumi, poi finiti chissà come e perché fra il mangime distribuito nell’allevamento di Dorgali. È solo un’ipotesi, perché comunque saranno le indagini della polizia veterinaria a ricostruire il percorso della nuova minaccia.
Il «ceppo 2» ha provocato un disastro nel Vecchio Continente, per poi attaccare gli allevamenti della Pianura Padana. Di recente, nel Pavese, sono stati abbattuti oltre 30mila capi infetti, ma non è bastato per fermare l’epidemia. «La Sardegna ha adottato subito tutti i protocolli necessari per mitigare qualunque rischio – fa sapere l’assessore Doria – Il sistema dei controlli ha funzionato, dimostrando ancora una volta grande capacità di intervento». Secondo la ricostruzione dell’assessore, «in poche ore siamo riusciti a rintracciare il virus e isolare il focolaio», perché, «dopo anni di lotta alla peste suina la nostra guardia continua a essere alta e quanto accaduto ci spinge a mantenere il massimo livello d’attenzione».
Comunque, sempre secondo l’assessore alla sanità, «proprio il fatto che si tratti di un contagio importato non fermerà certo il intrapreso della Regione con l’Europa, per liberare tutti i territori dalle ultime restrizioni ancora imposte da Bruxelles, nonostante da noi la peste suina africana sia ormai debellata». Attenzione massima A sollecitarla è stato di nuovo il presidente della commissione attività produttive, Piero Maieli del Psd’Az, che è un veterinario. «Auguriamoci che il contagio non sia passato dai maiali domestici a quelli allo stato brado, o ai cinghiali. Se fosse accaduto, sarebbe un nuovo disastro. Per questo motivo la guardia non va abbassata, ma rafforzata e tenuta molto alta. Dobbiamo essere severissimi nei controlli, ricordo che quando la peste suina era presente nei nostri allevamenti, nei porti e negli aeroporti i passeggeri sardi venivano addirittura quasi perquisiti, svuotati i bagagli, per verificare che non esportassero salumi». A sollecitare maggiori severità è anche il movimento indipendentista «A innantis», con Franciscu Sedda: «Servono controlli frontalieri e avvertenze per chi arriva in Sardegna. Dobbiamo evitare di vanificare i grandi sforzi e sacrifici fatti dai sardi dal 2014 per eradicare la peste suina e mettere fine a 40 anni di embargo».
“La nostra posizione sulla gestione della Peste suina africana (PSA) da parte della Regione è sempre stata chiara: non si deve allentare la presa nei controlli in Sardegna, nelle merci e negli animali vivi in entrata nei nostri porti e aeroporti, a maggior ragione da oggi in avanti dopo l’individuazione del focolaio a Dorgali”. Così ieri il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, nel mettere in evidenza l’estrema preoccupazione per il riaffacciarsi sull’Isola del virus dei suini: una malattia che dalle campagne sarde era scomparsa nel 2018 nei suini domestici e da inizio 2019 nei cinghiali.
“I servizi competenti regionali, in collaborazione con il ministero della Salute e i soggetti di gestione di sanità animale presenti sulla penisola, devono subito mettere in campo tutti gli uomini, le energie e le risorse per limitare la possibile diffusione del virus”.
“La gestione ottimale della biosicurezza – ha argomentato – sarà la chiave di volta indispensabile per arginare il contagio con successo. Le notizie che nelle ultime settimane arrivano dalla Lombardia, dove si trovano il 50% degli allevamenti suinicoli d’Italia, ci raccontano di un quadro sanitario davvero critico e delle forti difficoltà che ogni giorno emergono per far fronte alla Peste suina africana, non più nei selvatici, ma anche all’interno di stabilimenti dove si trovano decine di migliaia di capi”.
“Come Confagricoltura Sardegna – ha concluso il presidente – ci mettiamo a disposizione delle istituzioni e degli allevatori, in tutte le forme necessarie, per favorire la buona riuscita delle azioni di contrasto ed eradicazione”