Le prime picconate di Donald Trump non riguardano voi. L’avversario del libero scambio che ha conquistato la Casa Bianca ce l’ha col Messico e con la Cina. I due trattati che ha sempre denunciato come strumenti di distruzione dell’industria Usa e del lavoro, sono il Nafta (con Canada e Messico) e il Trans-Pacific Partnership (Tpp) con diversi Paesi asiatici.
Dell’altro trattato in corso di negoziato, il Ttip fra Stati Uniti e Unione europea, il presidente-eletto non si è mai occupato. È comunque improbabile che ne voglia rilanciare l’iter. Però potrebbero indurlo a qualche ripensamento le multinazionali americane che lo stanno accerchiando coi loro lobbisti. Il
Wall Street Journal
lancia un’ipotesi: subito «un trattato bilaterale Usa-Gran Bretagna »; un regalo insperato per Theresa May, una ricompensa per Brexit, uno schiaffo agli altri europei. Che cosa accadrà, realisticamente, al commercio internazionale? Siamo alla vigilia di una escalation di protezionismi come negli anni Trenta? Chi ha più da guadagnarci o da perderci?
Il fenomeno Trump non è un terremoto improvviso, è l’ultima scossa di uno sciame sismico. La globalizzazione com’era stata costruita nell’ultimo quarto di secolo – dalla regìa Usa – è in crisi dal 2008. Il commercio internazionale ristagna, ha smesso di essere il motore trainante della crescita. Le opinioni pubbliche di tutto l’Occidente sono diventate scettiche o apertamente ostili alla globalizzazione, perché i risultati non sono stati affatto all’altezza delle promesse. Perfino i maggiori beneficiari come la Cina, praticano un protezionismo occulto: basta leggersi le lamentele di tante imprese occidentali discriminate, che vengono raccolte nei rapporti annuali delle camere di commercio a Pechino. Il Wto, tribunale degli scambi mondiali, è sommerso di ricorsi e processi per concorrenza sleale. In questo quadro la campagna di Trump è stata estrema nei toni, ma contro il Tpp si era pronunciato anche Bernie Sanders durante le primarie democratiche. Hillary Clinton, che aveva appoggiato quel trattato quand’era segretario di Stato, ha preso le distanze in campagna elettorale, fino ad affermare che in caso di vittoria non lo avrebbe firmato. L’ultimo a difendere quel trattato era Obama. Che sperava di farlo passare in una sessione parlamentare di fine anno. Ora ha rinunciato.
Quali sono le mosse più probabili di Trump? Un editoriale e diversi articoli del Wall Street Journal tracciano degli scenari e lanciano degli avvertimenti al neopresidente. La fonte è significativa. Il grande quotidiano economico- finanziario di Rupert Murdoch è stato l’unico organo della stampa scritta ad aver mantenuto dei rapporti “normali” con Trump durante la campagna. Inoltre è il giornale di riferimento di quell’establishment capitalistico che sta “accerchiando” Trump con i suoi lobbisti, molti dei quali sono già entrati nella squadra di transizione presidenziale e nel toto-nomine governativo. Le multinazionali Usa sono state le maggiori beneficiarie della globalizzazione e hanno molto da perdere dal protezionismo. I consigli del Wsj spingono Trump verso una versione minimalista delle sue promesse elettorali. Gli consigliano di limitarsi a qualche misura anti- dumping contro la Cina, qualche dazio punitivo, tutte sanzioni che peraltro aveva già cominciato a usare Obama applicando le regole del Wto contro la concorrenza sleale. Riformare il Nafta è un’altra opzione che il Wsj abbraccia: il trattato è vecchio di un quarto di secolo e ha bisogno di aggiornamenti. Poi c’è l’idea di passare ad accordi bilaterali di libero scambio con gli alleati più fedeli ed omogenei: Regno Unito, Giappone. Viceversa, il Wsj lancia una serie di moniti a Trump. Guai se dovesse «far saltare per aria il ruolo centenario degli Stati Uniti come àncora del sistema internazionale dei mercati aperti». Stia bene attento a non «abbandonare la migliore opportunità degli ultimi decenni di liberalizzare Paesi come il Vietnam e la Malesia che avevano alte barriere contro i prodotti americani». Infine, l’allarme più grave: «Il danno strategico è il più considerevole. Il Tpp sarebbe stato un contrappeso geopolitico all’influenza della Cina nell’Asia-Pacifico e avrebbe rafforzato la leadership Usa. Ora sarà la Cina a stringere i propri accordi nella regione. I regimi autoritari sono pronti a sostituire l’America come potere dominante ». (È esattamente quel che sosteneva Obama).
Trump darà ascolto al Wall Street Journal, ai lobbisti che ha accolto nella sua squadra, alle multinazionali? Oppure all’operaio bianco del Michigan che lo ha portato alla vittoria? Per quanto riguarda la Ue, chi si faceva illusioni di poter riesumare il negoziato sul Ttip per migliorare le clausole in difesa di lavoratori, consumatori, salute e ambiente, deve affrontare un interlocutore ben diverso da Obama. Ammesso che Trump voglia occuparsi di quel trattato, non sarà per venire incontro agli ambientalisti o ai sindacati.
Repubblica – 14 novembre 2016