Si inizia con la pubblicazione dei dati forniti dalla Monsanto per la valutazione dell’ibrido MON K603 (di proprietà della stessa azienda) per la parte ritenuta “non confidenziale”. Presto altre iniziative.
Ma ci sono alcuni aspetti irrisolti. E’ un modo di risolvere la critica storica (che ha sottolineato come i dati industriali non siano affidabili), anche se lascia spazio a questioni aperte: i dati forniti dall’industria – gli stessi proposti ad EFSA per la richiesta di autorizzazione – sono “buoni”? In ogni caso la mossa va salutata in modo positivo, anche se non risolve il problema all’origine della costruzione indipendente dei risultati scientifici.
Si tratta- si legge nel website di EFSA- di un vero e proprio programma, da sviluppare insieme alle parti interessate e stakeholder e all’industria, nonché a soggetti scientifici a vario titolo interessati. Già in passato EFSA aveva cominciato a fare qualcosa del genere, ad esempio con la pubblicazione on-line di tutti i 121 studi originali sull’aspartame, utilizzati per la revisione scientifica di cui abbiamo dato notizia da queste colonne i giorni scorsi (è ora in corso una consultazione pubblica, con possibilità di conferire commenti). Ma sembra che ora si tratti di dare struttura e una direzione precisa a quella che era sembrata una iniziativa isolata. La apertura di EFSA non viene dal nulla, poi: risponde a precise richieste della valutazione esterna di Ernst &Young, che aveva sottolineato aree di miglioramento. Inoltre, nelle settimane scorse alcuni parlamentari europei avevano chiesto di migliorare ulteriormente le procedure per la trasparenza ed indipendenza dell’Authority Europea, ancora giudicata dalla Corte dei Conti come troppo prona a conflitti di interesse. In realtà il parere della Corte- che riguarda, nella sostanza del giudizio negativo, la maggior parte delle autorità indipendenti europee- non ha tenuto conto dei recenti aggiornamenti in materia adottati dall’Authority di Parma lo scorso agosto, che ha quindi fatto importanti passi in avanti.
La Direttrice, Catherin Geslaine Lanelle, ha riconoscituo “come la valutazione del rischio per sua stessa natura sia qualcosa di evolutivo, che debba essere aggiornata alla luce di nuovi dati o evidenze”: a dire, che non c’è più una torre d’avorio della scienza separata dal resto del mondo, e capace di emettere pareri inconfutabili o immutabili. Ha poi continuato: “Con l’iniziativa di oggi, intendiamo rendere pubblici i dati usati da EFSA per la valutazione del rischio, ed EFSA potrà rendersi utile a ricercatori di diverse aree di competenza, ottenendo inoltre prospettive e punti di vista utili da includere nella stessa valutazione del rischio.”Si riconosce esplicitamente quindi che la scienza sarà sempre più aperta e soggetta a logiche corali di tipo quasi “wiki”, con possibilità -per chi ha la competenza- di rivedere la stessa valutazione del rischio. Il vantaggio è chiaro: non solo una maggiore protezione della salute pubblica, ma una crescita della fiducia e della percezione positiva dell’istituzione. E l’intenzione è quella di disinnescare la polemica circa i dati forniti dalle industrie per la valutazione degli stessi prodotti (cd “application”).
Aspetti irrisolti. Tuttavia, non sembra affontata la questione fondamentale, ovvero quella relativa alla produzione dei dati (che rimane di una parte- l’industria- in chiaro conflitto di interessi nel suo ruolo sia di produttore, che vuole commercializzare il prodotto in tempi brevi- sia di valutatore, che dovrebbe fornire dati obiettivi e imparziali).Il rischio infatti è che le industrie di maggiori dimensioni possano permettersi di replicare decine di volte studi per arrivare – per puro caso statistico – ai risultati desiderati e favorevoli all’autorizzazione commerciale. Senza che nessun altro soggetto abbia le risorse o l’interesse per contro-argomentare. Il caso recente dello studio “Seralinì” sul mais NK603 e glifosato, nonostante la bocciatura nel merito da parte di tutti i principali organismi scientifici (incluse agenzie alimentari europee) ha però consentito di porre all’attenzione in modo irrevocabile il tema della proprietà degli studi. Viene giudicato irrinunciabile oggi, dopo quello studio, avere studi indipendenti, con dati non industriali, e meglio se a lungo termine (almeno un paio di anni, proprio come Seralinì aveva metodologicamente avanzato). Lo studio sarà stato anche una provocazione, ma è probabilmente riuscito nello scopo: mettere al centro dell’agenda di EFSA tali aspetti. E ricevendo un ampio supporto da parte delle più autorevoli agenzie europee. Proprio gli studi sul NK 603 sono stati pubblicati sul sito di EFSA in questi giorni.
Questione risorse pubbliche. Ma qui si arriva all’ altro snodo scoperto: ad oggi i privati che impegnano EFSA a proprio vantaggio economico esclusivo (ritorno di mercato) sembrano togliere risorse che provengono dai cittadini, che così pagano due volte (sia per i prodotti finiti sia per la valutazione degli stessi). Per intenderci, gli stanziamenti per i prodotti regolamentati (industria) per il 2013 saranno di 13 milioni e 660 mila euro, contro i 20 milioni per temi di salute pubblica -come si apprende dal budget approvato.
La DG SANCO entro il 2013 dovrebbe essere pronta a finalizzare pertanto una proposta di introduzione di tasse di scopo -dopo varie ipotesi e studi di impatto dell’anno passato-, in carico alle industrie che impegnano EFSA.
sicurezzaalimentare.it – 17 gennaio 2013