La pubblica amministrazione non è ancora una casa di vetro. Anzi, la strada rimane lunga. A distanza di sei mesi dal decreto trasparenza ( Dlgs 33/2013) e alla vigilia delle prime pesanti sanzioni anche pecuniarie, solo il 20% dei siti pubblici (2.202 su un totale di 11.191) è perfettamente in regola e pubblica online tutte le informazioni (ben 66) richieste in nome della trasparenza.
Il dato emerge dal primo monitoraggio sull’attuazione del decreto in vigore dal 20 aprile scorso realizzato dalla “Bussola della trasparenza”, lo strumento operativo del Dipartimento della Funzione pubblica, che compie una rilevazione automatica sulle sezioni «Amministrazione trasparente» di oltre 11mila enti pubblici.
Il traguardo è quello di una amministrazione senza segreti per i cittadini, che aggiorna «in modo tempestivo» e in formato rielaborabile tutte le informazioni, comprese quelle sui redditi degli amministratori, sui compensi ai dirigenti, ai consulenti e agli amministratori, sulle modalità per accedere agli uffici, sui bandi di gara e sugli enti vigilati e le società partecipate.
Ma a raggiungere la meta finora sono in pochi: la classifica della «Bussola» vede al primo posto solo tre ministeri su 12 (si veda la tabella a fianco), 33 Province su 107, 1.970 Comuni sugli 8mila monitorati. Gli altri arrancano: chi sta costruendo giorno per giorno la piramide delle informazioni, chi in questi sei mesi è rimasto al palo, chi come il Miur sta aggiornando il vecchio sito.
Per esempio sono oltre 3.400 i Comuni fermi a zero nell’attuazione (compresi quelli che non hanno travasato i vecchi contenuti della sezione «Trasparenza, valutazione e merito» nella nuova «Amministrazione trasparente»). Una cifra sconfortante, che la grande mole di adempimenti richiesta dal decreto può spiegare solo in parte. E sui ritardatari ora incombe la minaccia di nuove sanzioni. A breve, cioè il 17 ottobre, 180 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 33, scatteranno le pesanti sanzioni specifiche per i politici che “dimenticano” di pubblicare sul sito la propria situazione patrimoniale e i compensi: multe da 500 a 10mila euro, che dovrebbero essere comminate dall’ente stesso.
Ma il velo sui costi della politica è caduto finora in 35 amministrazioni su 100. La medaglia d’oro va agli enti del Piemonte, adeguati per oltre la metà, con il Comune di Torino, tra gli altri, che già dal 2010 vanta un’anagrafe dettagliata degli eletti, mentre l’ultimo posto appartiene al Trentino Alto Adige, che però grazie all’autonomia può trovare formule diverse di adempimento di questa legge che resta comunque «principio fondamentale» per tutti. Più attenzione alla trasparenza da parte dei grandi Comuni capoluogo di Regione. In cinque raggiungono il punteggio pieno. Ricco e articolato ad esempio il menu di Venezia, che è tra le prime ad aver pubblicato persino i rendiconti dei gruppi consiliari. Di fatto anche Milano è a posto (manca solo la sezione «altri contenuti»).
In buona posizione anche Roma, sebbene le informazioni su redditi e compensi siano ancora quelle della giunta Alemanno. Aosta, solo formalmente a zero, in realtà sta aggiornando la vecchia sezione «Trasparenza», mentre Catanzaro non ha ancora fornito i contenuti.
Comuni fermi Circa la metà degli oltre 8mila Comuni italiani risulta non avere ancora adeguato il proprio sito alle nuove disposizioni sulla trasparenza dettate dal Dlgs 33/2013, in vigore da sei mesi. Secondo il monitoraggio della “Bussola della trasparenza”, per questi Comuni nessuno dei 66 indicatori è al momento soddisfatto Province adeguate Sono 33 su 107 le amministrazioni provinciali risultate pienamente adeguate al monitoraggio sulla trasparenza Sanzione per i politici Da giovedi 17 ottobre i politici che non rendono noti compensi, reddito e situazione patrimoniale rischiano una sanzione che va dai 500 ai diecimila euro massimi. Deve essere un regolamento interno all’ente a decidere come e a chi spetta comminarla
Il Sole 24 Ore – 14 ottobre 2013