Da un paio d’anni una legge impone a ogni amministrazione di rendere note online una serie di informazioni minime. Si parte dagli incarichi affidati a consulenti e collaboratori esterni
Per proseguire con gli incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, i distacchi, le aspettative e i permessi sindacali, le aspettative e permessi per funzioni pubbliche elettive, i nominativi dei dirigenti (curriculum vitae, retribuzioni e recapiti istituzionali) e i tassi di assenza del personale (anche se su questi ultimi non c’è obbligo).
Altre norme successive alla riforma hanno poi aggiunto una serie di altre voci da pubblicare, come i permessi ai dipendenti con carichi familiari particolari (legge 104/1992) o le auto blu di cui dispone ogni struttura.
Certo l’Italia non ha una norma ancor più ampia e analitica come il Freedom of Information Act (Foia) britannico o statunitense che, da lungo tempo e dopo un lungo rodaggio, oggi garantisce l’accesso totale ai dati delle amministrazioni; con tanto di «citizen’s guide» sui siti per arrivare a trovare quel che davvero si cerca. Ma si deve partire da qui per capire di che cosa si parla quando si parla di trasparenza della Pa nel nostro Paese. E si deve subito aggiungere che il livello di implementazione di questa policy non è malissimo.
Circa il 65-70% delle amministrazioni (dove lavora l’85% dei dipendenti pubblici) secondo i dati raccolti dall’agenzia del ministero FormezPa, hanno partecipato fattivamente all’iniziativa. Hanno fatto di più le amministrazioni centrali, le Regioni e i grandi comuni, rispetto alle province o i comuni minori. E ha fatto meglio il Nord del Sud, se è vero che quel terzo di amministrazioni in ritardo nella disclosure è costituito per due terzi di amministrazioni del Mezzogiorno. Ritardi più significativi si registrano ancora per le sedi periferiche delle amministrazioni centrali e nelle Asl.
Naturalmente per convincere migliaia di dirigenti che nelle loro incombenze ora rientra anche un obbligo di aggiornamento costante del sito web non è semplice. Ma la velocità, per fortuna, in questi casi è data anche dal livello di utilizzo delle tecnologie Ict e dalla loro diffusione: «Cinquemila amministrazioni hanno risposto in tempi davvero brevi al monitoraggio che abbiamo fatto sulle auto blu – spiega Carlo Flamment, presidente di FormezPa – e questo ci ha consentito di mettere assieme un quadro dei veicoli in uso piuttosto completo, nonostante la complessità, sul 65% delle amministrazioni centrali».
Si dirà che la modernizzazione della Pa non passa solo per la razionalizzazione delle auto blu ma è un fatto che grazie a quel monitoraggio ora i tagli sono, perlomeno teoricamente, quantificabili.
Ilsole24ore.com – 26 luglio 2011