«Tracce di Pfas in molti pozzi attualmente in esercizio» lungo la rete dell’acquedotto di Verona. Detta così, sembra che le parole contenute nel comunicato diffuso ieri da Acque Veronesi, gestore dei servizi idrici in 77 Comuni della provincia a partire ovviamente dal capoluogo, diano ragione a Greenpeace. L’associazione ambientalista sta puntando il dito sull’emergenza da sostanze perfluoroalchiliche in tutto il Veneto, anche usando analisi su campioni prelevati in proprio. E, non più tardi di lunedì, aveva comunicato risultati tali da suscitare, a prima vista, preoccupazioni anche fuori dalla cosiddetta zona rossa. Acque Veronesi è intervenuta nel tentativo di fare un po’ di chiarezza «dopo che – rivela il presidente Niko Cordioli – sono arrivate parecchie telefonate da genitori di alunni, presidi, sindaci in allarme».Le conclusioni del gestore sono in realtà di segno opposto a quello di un allarme generalizzato.
È vero che le tracce di queste sostanze ci sono «ma è bene precisare che emergono per una serie di motivi. Primo: i controlli noi li facciamo, e ormai con costanza e capillarità. Fuori dal Veneto, se si facesse in modo analogo, siamo stra-convinti che verrebbero alla luce problemi analoghi in tutta Italia. Secondo: le fonti per la dispersione di queste sostanze sono numerosissime, non è quindi sorprendente che se ne rinvengano tracce anche nell’acquedotto di Verona». «Ma attenzione – interviene Massimo Carmagnani, responsabile ricerca e sviluppo dell’azienda – le tracce di Pfas non hanno nulla a che fare con i problemi dell’acquedotto di Lonigo che serve anche i Comuni veronesi della zona inquinata. Non c’è alcun collegamento e i valori sono ben diversi».
Guardiamoli un po’, allora, questi valori. Secondo il gestore, l’unico parametro che dalle analisi desta preoccupazioni è il Pfos (sostanza che fa parte della famiglia dei Pfas) che ha causato il noto fermo della centrale di erogazione a Porta Palio. Situazione in via di risoluzione, ricorda Cordioli: «La centrale è stata riavviata da tempo e attinge ad altre fonti. Nelle prossime settimane finiremo i lavori per l’installazione dei filtri a carboni attivi sul pozzo». Per tutto il resto, cioé per le rilevazioni a Verona sui Pfos e sugli altri composti della famiglia più larga dei Pfas «siamo sempre ben al di sotto dei limiti di legge, anche se qualche volta per i Pfos si superano i 20 nanogrammi per litro. Quindi il messaggio deve essere chiaro: l’acqua potabile della città è sicura, le famiglie possono tranquillamente berla. La situazione, certo, è da monitorare perché le fonti di inquinamento possono essere di varia natura. È quello che stiamo facendo. Ma niente allarmismi. E lasciamo alle istituzioni competenti il rilascio e l’analisi dei dati. C’è l’Arpav che è demandata a farlo. Con tutto il rispetto, non lo sono alcune associazioni ambientaliste». Riferimento chiaro a Greenpeace, alla quale Acque Veronesi contesta la notizia che aveva fatto forse più rumore nel dossier dei giorni scorsi: la presenza di Pfos oltre i limiti di legge (31,7 nanogrammi per litro contro i 30 di soglia) nell’acqua della scuola elementare Cesari a San Giovanni Lupatoto. «Abbiamo campionato martedì tutti i 7 pozzi che approvvigionano l’acquedotto di San Giovanni e non è stata trovata alcuna traccia di Pfas». In più, fanno sapere Cordioli e l’ingegner Carmagnani, «l’Usl ha ricontrollato l’acqua di quella scuola, e non ha rilevato nulla». La replica di Greenpeace è affidata a Giuseppe Ungherese, che ha curato il dossier. «Visto che stiamo parlando di grandezze infinitesimali, la diversità di risultati è assolutamente normale: possono variare anche in un solo giorno. Non abbiamo lanciato allarmi su San Giovanni Lupatoto o Verona, ma segnaliamo situazioni da tenere sotto controllo. Anche perché parliamo di sostanze che nell’acqua potabile dovrebbero essere totalmente assenti».
Il Corriere del Veneto – 18 maggio 2017