Finora Luca Zaia ha risposto picche a quanti gli chiedevano di assumere un ruolo dirigente nella Lega post-bossiana.
Ultimo rifiuto in ordine di tempo, quello opposto a Flavio Tosi che l’aveva candidato a vice di Roberto Maroni («Una carica impegnativa ma non risolutiva».Nelle ultime ore, però, qualcosa è cambiato. Forse l’accelerazione della crisi interna al Carroccio, forse l’avvicinarsi del congresso veneto. Tant’é: per la prima volta il governatore prefigura un suo coinvolgimento nel nuovo vertice di via Bellerio: «Se, come mi auguro, Maroni diventerà segretario federale, avrà bisogno di una segreteria politica forte, capace di rappresentare le istanze locali e di fare sintesi. In quest’ambito potrei esprimere un contributo, dando voce al Veneto, alla spinta al cambiamento, anzi, alla voglia di rifondazione, che avverto tra i militanti e gli elettori». Tramontata (malinconicamente) l’epoca del lider maximo, Zaia immagina una direzione collegiale, lontana da personalismi e rispettosa delle sensibilità del territorio. L’antitesi del Cerchio magico, insomma: «Il partito si va profilando come una federazione di leghe regionali, io non cerco visibilità, sono e resterò un governatore a tempo pieno, è l’impegno che ho assunto con i cittadini. Però non mi sottraggo alle responsabilità in un momento difficile. Ho sempre sostenuto che le beghe lombarde non devono diventare motivo di divisione tra i veneti, io non ero bossiano ieri e non sono maroniano oggi, mi sento un lighista e trovo raccappricciante che queste etichette siano diventate uno spartiacque nel partito». Il test amministrativo ha sancito una pesante battuta d’arresto, se le roccaforti di Verona e Cittadella hanno retto, nei ballottaggi la disfatta è stata generale… «Per la Lega è stata una giornata infelice ma chi è causa del suo mal pianga se stesso, noi paghiamo il conto di tutte le polemiche e di quello che c’è stato in questi due mesi. Complotti? Macché, la magistratura sta facendo il suo lavoro, semmai possiamo chiederle di farlo in modo veloce. Vie d’uscita? Per risorgere bisogna morire, direi che adesso l’unica soluzione è lavorare pancia a terra e dimostrare ai cittadini che i difensori del nord restiamo noi». Prima del cambio della guardia federale, ci sarà il congresso veneto e l’obiettivo di una candidatura unitaria è rimasto un miraggio: Tosi appare favorito ma Antonio Da Re è deciso a vendere cara la pelle. Il rischio, concreto, è quello di un partito ingovernabile, irrimediabilmente lacerato tra i maroniani del sindaco di Verona e i nostalgici del Senatur. In tal caso, la presenza di Zaia nel quartier generale, limitata magari alle decisioni cruciali demandate alla segreteria, avrebbe il tenore di una garanzia. Né il governatore minimizza l’entità delle divisioni che agitano la base, i quadri e gli stessi amministratori leghisti: «Purtroppo la spaccatura tra le due anime della Lega è troppo profonda per presentarsi uniti al congresso. Vedremo, decideranno i delegati, però uno scontro prolungato tra le correnti, che ormai si muovono come soggetti organizzati, rischia di distruggere il partito minandone la credibilità
«Cavallo di razza della Lega in Veneto»
VENEZIA – Flavio Tosi lancia Luca Zaia come numero 2 di Maroni e vicesegretario della nuova Lega Nord del dopo Bossi. Ad Antenna Tre Nordest il sindaco di Verona, unico che si sia salvato dalla débâcle leghista ha detto che «il Veneto sarebbe rappressentato benissimo da Luca Zaia, perché è uno dei cavalli di razza che ha la Lega in Veneto. Se il prossimo segretario, come immagino e spero, sarà Roberto Maroni, è normale che il vicesegretario sia un veneto, perché le due colonne del movimento sono la Lombardia e il Veneto e anche perché, come sostiene lo stesso Maroni, non deve più esserci un uomo solo al comando, ma un gruppo di persone che lavorano in maniera coesa e coerente con gli interessi del partito».
23 maggio 2012 – Il Mattino di Padova