Il “rischio Italia” torna ad affacciarsi con lo spread che schizza verso l’alto mentre Mario Draghi, nel commemorare Ciampi, invoca la «cultura della stabilità». A venti giorni dal referendum e a quattro dal traguardo dei mille giorni di governo, lo spread sfonda la soglia dei 180 punti per poi chiudere a 176 con piazza Affari maglia nera delle Borse europee.
Oscillazioni che il premier Matteo Renzi definisce «ovvie» perché «se c’è incertezza lo spread aumenta». Ma il chiarimento che si tratta di «una constatazione, non di una minaccia » non salva il presidente del consiglio dall’attacco delle opposizioni. Per il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta è il presidente del Consiglio «ad aizzare in modo irresponsabile la speculazione con affermazioni da paese sudamericano ». Nelle ultime settimane si è assistito ad un incremento del rendimento del Btp decennale sul mercato secondario. Preoccupa che l’aumento sia stato inizialmente molto graduale, per poi diventare più intenso, mostrando in alcune sedute dei veri e propri strappi al rialzo. Nella giornata dell’11 novembre i rendimenti del titolo decennale hanno oltrepassato la soglia del 2 per cento segnando un incremento prossimo al 100 per cento rispetto ai minimi di agosto-settembre.
Inoltre la discesa dei corsi del titolo benchmark italiano, rileva uno studio del Cer, è stata più accentuata rispetto a quanto osservato in altre economie dell’area euro. Infatti, lo spread è aumentato non solo nei confronti dei titoli tedeschi, ma anche rispetto ai titoli spagnoli.
Quali le cause del ritorno dello spread? In primo luogo Brexit e l’effetto Trump; poi l’avvicinarsi dell’aumento dei tassi della Fed; una terza spiegazione viene dal piccolo incremento dell’inflazione nell’area euro e dall’avvicinarsi del marzo del 2017 data prevista attualmente per la fine del quantitative easing cioè alla politica dei tassi bassi; infine la speculazione in vista del referendum del 4 dicembre.
Cattura l’attenzione, durante la celebrazione al Tesoro di Carlo Azeglio Ciampi, l’intervento del presidente della Bce Mario Draghi quando tesse le lodi dell’esecutivo Prodi (1996-1998) che conseguì «risultati mai raggiunti » e «una costellazione positiva ». La chiave di quei successi per il “numero uno” di Francoforte è stata la «cultura della stabilità » che è «essenziale per fare riforme ben disegnate». Per Draghi il requisito essenziale di quel governo che portò il Pil a crescere, a dimezzare l’inflazione e far scendere il debito, fu la possibilità di operare senza il condizionamento dell’”emergenza”, con due requisiti «mancati agli esecutivi precedenti»: «Era espressione diretta di una consultazione elettorale e non vide i suoi membri cadere per motivi giudiziari ». Per Draghi il Ciampi che si battè per la moneta unica vedeva la fine della «sudditanza» dell’Italia che aveva segnato gli accordi di cambio dopo la fine del sistema di Bretton Woods.
Lo spread si riaffaccia nelle parole di Prodi: «Ciampi – racconta – si presentava regolarmente alle riunioni con quello che noi chiamavamo il “fogliettino”: il punto sui conti pubblici e alla fine, inevitabilmente, l’andamento dello spread».
Repubblica – 15 novembre 2016