Il “panino libero” mette in crisi le mense a scuola. L’emorragia di famiglie che decidono di disdire il servizio e dare il pasto da casa ai loro figli continua. Il “partito della schiscetta” a Torino, dove è esplosa la questione nel 2016, da un anno scolastico all’altro ha incrementato gli iscritti: 712 bambini in più alle elementari. Si è passato da 4.530 a 5.242 disdette dal servizio fornito dal Comune su una platea di 32.272 iscritti. In pratica il 16 per cento delle famiglie ha detto basta. «Il panino è diventato a tutti gli effetti un concorrente della mensa», dicono all’assessorato alla Scuola del Comune guidato dalla sindaca pentastellata Chiara Appendino. I dati, rispetto allo scorso anno quando si indicavano poco mila di 6 mila disdette, sono puliti e divisi fra scuola primaria e secondaria. Gli occhi dei tecnici sono puntati sulle dinamiche delle elementari per studiare le contromosse, mentre alle scuole medie il processo di abbandono ha radici diverse. Ed è già partito ben prima dei ricorsi del comitato Caro Mensa e della sentenza della Corte d’Appello di Torino del giugno 2016. Già nel 2012 il 50 per cento degli iscritti alle medie non mangiava in mensa. Oggi solo il 20 per cento consuma il pasto nel refettorio. In pratica, su 20 mila ragazzi, solo 4 mila. In questo caso il crollo degli iscritti al servizio non è figlio della sentenza che ha aperto le porte delle scuole al pasto da casa. Alle medie c’è il rientro al pomeriggio una o due volte a settimane, non tutti i giorni come alle elementari. Gli studenti sono legati alla mensa soprattutto in prima media, in seconda o in terza preferiscono uscire con i compagni e mangiare qualcosa fuori da scuola.
La situazione torinese è la punta di un iceberg che preoccupa gli enti locali e i presidi, che reagiscono in modo differente, il ministero guidato da Valeria Fedeli e le società di ristorazione collettiva. A macchia di leopardo anche in altre città, forti della sentenza di Torino e grazie al supporto dell’avvocato pro panino Giorgio Vecchione, le famiglie chiedono di togliere i propri figli dalle mense.
A Venezia, Mestre, Verona e Genova, gruppi di genitori, da qualche decina fino a un centinaio a seconda delle città, hanno rinunciato al servizio. A Firenze è il Comune che ha deciso di aprire da quest’anno al pasto da casa. Chi non si è iscritto in mensa però non potrà più farlo per il resto dell’anno. Anche a Milano si può optare per il “panino libero”, ma alla fine sono poco più di una dozzina le famiglie che hanno fatto richiesta. Gruppi anche a Bologna e a Fiumicino. A Napoli si è formato un comitato ad hoc, ma il ricorso al Tar è stato respinto, mentre a Benevento i genitori hanno fatto ricorso contro il regolamento del sindaco Clemente Mastella che vietava il pasto da casa. Regolamento che però è stato sospeso.
A Torino, dove il pranzo a scuola alla famiglia nella fascia Isee più alta costa 7,10 euro, l’esercito di genitori che forniscono il pasto, rispetto ai tre milioni serviti ogni giorno in Italia, è il più consistente. Il ministero dell’Istruzione ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza del Tribunale di Torino, ma nel frattempo il rischio è che il fai-da-te prenda il sopravvento.
La Repubblica – 24 ottobre 2017