Michela Nicolussi Moro. Sono tanti i veneti che nel 2016 hanno rinunciato a curarsi: 749.437, il 15% della popolazione. Lo rivela un’indagine Censis-Rbm, che ne svela i motivi: oltre il 50% delle disdette di visite ed esami o delle mancate prenotazioni delle prestazioni prescritte dal medico si deve a motivi economici. La somma tra il ticket di base (36,15 euro) e quello sulla specialistica (10 euro), moltiplicata per ogni accertamento, fa lievitare i costi a una media di 67 euro a volta (l’importo più alto d’Italia). Troppo per una fascia crescente di cittadini, che infatti preferisce stringere i denti. E così dal 2012 al 2016 la Regione ha visto l’introito dei ticket per la specialistica ambulatoriale e il Pronto soccorso scendere da 195,5 milioni di euro a 170,6.
Le altre motivazioni alla base della rinuncia alla salute sono: le liste d’attesa (media di 33,69 giorni, ridotti a 5,51 nel privato); la difficoltà di conciliare gli orari delle visite con quelli del lavoro (che rende la fascia tra i 45 e i 54 anni la più «assente»); la sottovalutazione dei rischi da parte dei più giovani (over 15 anni); il problema per le donne — le più numerose nella lista dei «rinunciatari» —, già alle prese con la propria professione, la casa e la famiglia, di trovare il tempo anche per questo impegno. Risultato: dal 2015 al 2016 in Veneto si sono registrati 5,2 milioni in meno di prestazioni di specialistica ambulatoriale, passate da 65,4 milioni a 60,2. E solo in minima parte recuperate nel 2017: +869.994. «Purtroppo la scelta di non curarsi è un fenomeno che dura da dieci anni — avverte Flavio Magarini, presidente regionale di Cittadinanzattiva, che in Veneto ha aperto una ventina di sportelli del Tribunale del Malato —. Con una differenza significativa: un tempo chi non poteva pagare un ticket troppo alto chiedeva al medico quale fosse l’esame più urgente e lo affrontava subito, rimandando gli altri ai mesi successivi; adesso invece non chiede più niente e spera che il male gli passi. Il problema è stato poi acuito dalla burocrazia che intralcia l’attività dei medici di famiglia e dei Distretti, i soli servizi sanitari gratuiti ma spesso non all’altezza delle necessità della gente. Sempre più pazienti — rivela Magarini — ci segnalano attese di una settimana per accedere al medico di base, che ormai non effettua quasi più visite a domicilio». Di conseguenza aumentano le richieste al Tribunale del Malato di un aiuto per ottenere l’esenzione dal ticket, soprattutto da parte di uomini separati, che faticano a mantenere due case.
Quanto ai giovani, il report 2017 «@Two!Salute!» coordinato da Arsenal (il consorzio delle Usl) nell’ambito del progetto del Fascicolo sanitario elettronico, segnala che l’88% dei ragazzi tra 16 e 18 anni cerca notizie su malattie, terapie, farmaci, alimentazione e attività fisica sul web. Ma non sui siti ufficiali. La ricerca, condotta su oltre 6mila studenti, rileva che il 98% degli adolescenti usa lo smartphone per tenersi aggiornato e che il 79% non ha mai visitato il sito della propria Usl, mentre il 70% dichiara di non conoscere i servizi di eHealth presentati (cartella clinica digitalizzata, prenotazioni e lettura dei referti on line, telemedicina), anche se il 92% si dice pronto a utilizzarli. A fronte di tutto ciò la nostra regione, dice il Censis, è la terza best performer dietro a Bolzano e Marche, con un indice di buona salute di 6,8 su 10 e una spesa sanitaria pro capite di 2537 euro l’anno.
Ma è anche al top per la spesa pro capite relativa alla sanità privata (737 euro), alla quale si ricorre per abbattere le attese e ottenere orari compatibili con i propri impegni. Il 40% dei veneti ritiene infatti «inadeguato» il servizio pubblico. «Gli erogatori privati tendono a erogare prevalentemente prestazioni di diagnostica di base e odontoiatria — recita il dossier — nel Nordest assolvono a una funzione integrativa del Servizio sanitario nazionale, anche in funzione di diagnosi precoce. La spesa sanitaria privata non è appannaggio solo di persone abbienti alla ricerca delle cure migliori o personalizzate, ma è trasversale ai gruppi sociali. Sono quasi due terzi le persone a basso reddito che hanno dovuto pagare terapie di tasca propria. Tra questi, il 40% sono pazienti cronici, il 14% non autosufficienti, l’11% malati gravi e il 67% donne».
E proprio di «Pubblico e privato quasi alla pari» si è parlato ieri a Padova, nel convegno organizzato da Motore Sanità. «I centri convenzionati sono una parte significativa del Servizio sanitario nazionale, costituito per il 7,6% della spesa da cure ospedaliere e per il 4,1% da diagnostica e laboratorio — ha detto l’avvocato Michele Vietti, ex vicepresidente del Csm —. Il fabbisogno cresce e si ridefinisce per invecchiamento e cronicità, con una sanità pubblica che arranca e che, non potendo coprire tutta la domanda, la raziona. E quindi aumentano sanità privata, sanità negata e disparità di accesso». «Sanità pubblica e privata non devono essere in competizione ma collaborare, ognuna ricopre compiti precisi — ha spiegato Domenico Mantoan, direttore generale della Sanità in Regione —. Al privato accreditato ospedaliero, che copre il 18% dei posti letto, abbiamo affidato settori specifici, in particolare Ortopedia, Chirurgia e Riabilitazione. In alcuni casi fa anche da presidio ospedaliero per una zona. Abbiamo stabilito budget e tariffe certi, con pagamento delle prestazioni entro 60 giorni. E’ la sintesi di un rapporto tra pubblico e privato che in Veneto negli ultimi cinque anni ha sortito risultati positivi. Il futuro è la gestione del territorio, di fronte a una popolazione che invecchia — ha aggiunto Mantoan —. Per alcune realtà, come gli ospedali di comunità, una delle ipotesi è sperimentare formule nuove insieme al privato accreditato, perchè dobbiamo dare risposte al cittadino».
Il Corriere del Veneto – 14 aprile 2018