Una misura pensata per spingere i consumi, compensando il mancato (e più volte ventilato) aumento del bonus di 80 euro che nella legge di Stabilità 2015 si trasforma in credito d’imposta. Questo è lo spirito con cui il governo ha dato il via all’operazione del Tfr (Trattamento di fine rapporto) in busta paga: la platea cui questo anticipo conviene corrisponde non a caso a quella dei percettori del bonus, cioè titolari di redditi che non superino i 24-26 mila euro annui.
Chi. La richiesta di avere la quota maturanda del Tfr in busta paga è volontaria e può essere fatta dal dipendente privato che sia stato assunto da almeno sei mesi. Sono esclusi i collaboratori domestici, i lavoratori agricoli e i dipendenti di aziende in crisi.
Quando. La misura è sperimentale: vale dal marzo prossimo, con effetto retroattivo a gennaio, e termina nel giugno 2018. Effettuata la scelta, questa non può essere revocata per tre anni.
Quanto. La quota del Tfr che può essere anticipata in busta paga è quella maturanda, anche se normalmente destinata alla previdenza complementare: nel fondo di appartenenza verranno versati solo i contributi del dipendente e del datore di lavoro. L’anticipazione sarà mensile e non in un’unica soluzione.
Come. Facciamo un esempio dell’effetto della norma che, va detto, sarà accompagnata da un decreto attuativo che ne spiegherà meglio i meccanismi. Per chi ha uno stipendio annuale di 24 mila euro lordi, che corrispondono a 1.500 euro netti mensili per 13 mensilità, la quota di Tfr accantonabile oggi è pari mensilmente a poco più di 100 euro. Su questa cifra andrà effettuato il prelievo da parte del Fisco.
Tassazione. Il governo ha deciso di tassare la quota di Tfr in busta paga come se questa andasse a integrare lo stipendio e dunque applicando le aliquote Irpef ordinarie. Di conseguenza l’anticipo del Tfr in busta paga sarà conveniente per i lavoratori con un reddito fino a 15 mila euro mentre subiranno un aggravio fiscale quelli al di sopra di questa soglia.
Fino a 15 mila euro lordi di reddito — spiega Enzo De Fusco coordinatore scientifico della Fondazione studi consulenti del lavoro — l’aliquota con il quale verrebbe tassato il Tfr in busta paga rispetto a quello che si ottiene alla fine del rapporto di lavoro sarebbe la stessa: 23%. Per i redditi superiori, la tassazione separata è vantaggiosa per il lavoratore rispetto a quella ordinaria. Se per i redditi dai 15 mila euro lordi ai 28.650 il divario di imposizione è ancora sostenibile (50 euro in più di imposta l’anno se si chiede l’anticipo in busta paga) oltre questa soglia la richiesta di anticipo non è più conveniente perché sarebbe tassata al 38% con oltre 300 euro di tasse in più l’anno. L’imposizione aumenta con la crescita del reddito e per chi guadagna 90 mila euro l’anno arriva a 568,50 euro in più di tasse. In pratica si ricevono in busta paga di Tfr netto 3.544 euro a fronte dei 4.112 accantonati a tassazione separata.
Dunque è chiaro che la fascia cui la misura si rivolge sta sotto i 24 mila euro. In particolare per chi può contare su un reddito di 20 mila lordi l’anno, il Tfr netto annuale sarebbe di 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte dei 1.058 di Tfr netto annuale accantonato. Il Tfr in busta paga non dovrebbe essere conteggiato ai fini del bonus. «Stiamo valutando come evitare che chi chieda il Tfr in busta paga perda il bonus di 80 euro», ha detto ieri il ministro dell’Economia Padoan in tv a Otto e mezzo.
Antonella Baccaro – Il Corriere della Sera – 18 ottobre 2014