Al Tfr in busta paga sarà applicata la tassazione ordinaria. Il maxiemendamento del governo alla legge di stabilità conferma il prelievo già previsto nella versione della norma approvata dalla Camera. Confermato anche il bonus da 80 euro per i redditi fino a 26 mila euro.
Dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, in via sperimentale, i dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratori domestici e quelli del settore agricolo), con almeno sei mesi di contratto alle spalle potranno chiedere di incassare il trattamento di fine rapporto ogni mese, man mano che lo maturano, inclusa la parte che eventualmente viene versata a un fondo pensione. Tuttavia tale importo non sarà soggetto alla tassazione separata che si applica di solito, ma a quella ordinaria, quindi più alto sarà l’imponibile e maggiore sarà il prelievo fiscale. Secondo le stime del governo, a fronte di una adesione all’opzione da parte del 40-50% dei lavoratori, si genererà un maggior gettito fiscale compreso tra i 2,2 miliardi del 2015 e i 2,7 del 2017.
Le somme corrisposte non incideranno però sulla fruizione dell’eventuale bonus da 80 euro introdotto dal governo Renzi, mentre l’incremento di reddito da esse causato rileverà per tutte le altre agevolazioni e per le detrazioni. Inoltre la corresponsione del Tfr su base mensile comporta ovviamente il mancato accantonamento dello stesso e nel periodo interessato solo già quanto maturato continuerà a rivalutarsi perché non sono previste contribuzioni figurative. La scelta, peraltro, è irrevocabile, cioè una volta fatta non può essere modificata fino al 30 giugno 2018 (resta da capire cosa succede se si cambia impiego).
Dal punto di vista dei datori di lavoro, la scelta dei dipendenti ha conseguenze soprattutto per le aziende con meno di 50 addetti, che oggi accantonano il Tfr se il dipendente non lo devolve a un fondo complementare (quelle più grandi lo versano comunque a un fondo presso l’Inps). Nel caso in cui il lavoratore scelga di incassare subito il Tfr, l’impresa potrà scegliere se pagarlo direttamente oppure accedere a un finanziamento assistito da garanzia rilasciata da un fondo specifico istituito presso l’Inps e a quella dello Stato.
Il finanziamento sarà erogato da una banca aderente all’accordo tra ministeri e Abi a un tasso non superiore a quello di rivalutazione del Tfr. Per accedere al prestito le aziende dovranno versare al fondo un contributo mensile pari allo 0,2% della retribuzione imponibile a fini previdenziali del dipendente. Tutti i dettagli di funzionamento della sperimentazione dovranno essere indicati da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri.
Incassare il Tfr ogni mese, come detto, comporterà la sospensione dell’eventuale conferimento dello stesso ai fondi di previdenza complementare, che, a loro volta, devono fare i conti con un nuovo sistema di tassazione. L’aliquota sui rendimenti passa dall’11 al 20 per cento, ma viene introdotto un credito d’imposta del 9% se un importo uguale al risultato netto viene investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine (dovrebbero essere in infrastrutture) che saranno individuate da un decreto del ministro dell’Economia. Sul trattamento di fine rapporto che i lavoratori continueranno ad accantoare, peraltro, la tassazione sul l’importomaturato passerà dall’11 al 17 per cento a partire dagli incrementi del 2015.
Un meccanismo di compensazione analogo a quello dei fondi è stato previsto per le Casse di previdenza private, che garantiscono la pensione a circa 1,4 milioni di professionisti. In questo caso a fronte di un incremento delle ritenute e delle imposte sostitutive applicate sui redditi di natura finanziaria dal 20 al 26% viene riconosciuto un credito di imposta del 6% se i relativi importi vengono investiti nelle attività individuate dal decreto del ministro dell’Economia. Inoltre il credito d’imposta riconosciuto complessivamente a Casse e fondi non può sforare quota 80 milioni di euro all’anno, a partire dal 2016.
Il Sole 24 Ore – 20 dicembre 2014