Alessandro Barbera. Ancora ottanta euro, questa volta senza distinzione di reddito: il valore medio del trattamento di fine rapporto di chi ancora lo lascia in azienda è proprio quello. Chi credeva che Matteo Renzi avrebbe cambiato strada dopo lo scarso (o nullo, almeno per ora) impatto sulla crescita del bonus Irpef in vigore da maggio, strabuzza gli occhi. L’ipotesi di restituire il cosiddetto «Tfr» risponde alla stessa logica del primo intervento: restituire potere d’acquisto ai redditi medio-bassi, nella speranza di far ripartire i consumi e abbattere il rischio deflazione. Ma si farà davvero? A giudicare dalle parole del viceministro all’Economia Enrico Morando – uomo solitamente prudente – c’è da credere di sì. Le incognite restano molte. La prima: a meno di non escludere i lavoratori pubblici, l’operazione non sarebbe a costo zero.
La bozza sul tavolo del presidente del consiglio li include. Ma il governo ha i margini per farlo?
Due rapidi conti: i dipendenti privati sono dodici milioni, gli statali altri tre: assorbono rispettivamente 315 e 115 miliardi di retribuzioni. Il Tfr maturato ogni anno vale più o meno 21 miliardi e mezzo di euro. Al Tesoro, dove sono costretti a far tornare i conti, la fattibilità dell’operazione è legata alla tassazione applicata alla somma erogata. Perché funzioni, ovvero resti l’incentivo a chiedere subito quella somma, la tassazione del Tfr erogato dovrebbe restare agevolata, fra il 23 e il 25 per cento. Eppure in passato, in caso di Tfr anticipato in busta paga dai datori di lavoro, i giudici avevano stabilito che le imprese pagassero contributi e tasse secondo il regime ordinario.
In sintesi: per confermare il regime agevolato e non escludere i pubblici è necessaria una copertura finanziaria. La proposta presentata a Renzi firmata da Stefano Patriarca scrive che il solo flusso di Tfr maturato ogni anno dagli statali vale cinque miliardi e mezzo, mentre le maggiori entrate stimate vanno da un minimo di 1,7 ad un massimo di 5,6 miliardi. Secondo la proposta, se si aumentasse del 50 per cento le entrate del fondo di garanzia Tfr per le imprese insolventi, basterebbero 300 milioni di euro aggiuntivi. Ma chi garantirebbe l’aumento delle entrate del fondo di garanzia se non le imprese stesse?
Infine: con la sottrazione del Tfr molte piccole aziende vedrebbero venir meno una fonte di liquidità. Su questo da ieri c’è al lavoro un tavolo tecnico fra il Tesoro e l’Abi, l’associazione delle banche. La bozza sul tavolo di Renzi prevede due soluzioni: o la costituzione di un fondo ad hoc al quale parteciperebbero banche e Cassa depositi e prestiti o – in subordine – la firma di una convenzione che preveda l’erogazione del prestito da parte delle banche stesse, garantito dalla Cdp.
Se tutti gli ostacoli saranno superati, i consulenti del lavoro stimano che anche assoggettando il Tfr ad una tassazione non agevolata, il beneficio per gli italiani sarebbe rilevante: 40 euro al mese in caso di liquidazione al 50%, 62 se al 75 per cento, 82 in caso di Tfr erogato al 100%. Numeri sufficienti a sostenere la ripresa della domanda interna, purché non finiscano di nuovo sotto il materasso o, peggio, per pagare i debiti nel frattempo accumulati. (La Stampa)
Il dossier. Con il Tfr in busta paga bonus di 1200 euro all’anno ma meno detrazioni e agevolazioni. Ecco cosa succederà
Ecco cosa succederà alla busta paga degli italiani con l’anticipo della liquidazione Più soldi per i consumi insieme a un possibile aumento del reddito imponibile Isee
Valentina Conte. Più Tfr in busta paga, meno agevolazioni per asili nido, mense scolastiche, tasse universitarie. E anche minori detrazioni Tasi. Esiste un rischio, insito nell’operazione cara al governo Renzi, fin qui trascurato o neanche ipotizzato dai tecnici. Ed è quello di perdere gli sconti legati al reddito Isee, destinato con certezza a lievitare nel caso in cui il dipendente optasse per l’anticipo della liquidazione nel cedolino del prossimo anno. Non una faccenda di poco conto. Assicurata la liquidità alle piccole e medie imprese grazie al circuito bancario, l’ostacolo più grande all’idea del Tfr subito – in un’unica soluzione a febbraio oppure in rate mensili – ora diventa proprio questo. Il pericolo cioè che il lavoratore ci perda. E che ci guadagni, alla fine, solo lo Stato. Il Tfr in busta paga non è difatti solo “salario differito” che il dipendente può scegliere di consumare ora. Ma anche tasse di domani che il governo incassa oggi. Dai 4 ai 6 miliardi, a seconda dell’ipotesi. Di fatto, una mini-manovra, buona per tagliare l’Irap alle aziende. O finanziare i “nuovi” ammortizzatori sociali. O entrambi. Non male, in tempi di impegnative coperture alla legge di Stabilità.
Di quanti soldi parliamo? In media, 100 euro al mese, 1.200 euro l’anno, netti. Un dipendente che viaggia attorno ai 23 mila euro lordi annui (l’imponibile medio dei lavoratori italiani nel privato), se scegliesse l’anticipo del suo Tfr, vedrebbe salire la busta paga di 106 euro in più (netti) da gennaio in poi. Oppure di 1.269 euro tutti in una volta. E questo nell’ipotesi, che ora va per la maggiore a Palazzo Chigi, di concedere nel 2015 il 100% della liquidazione accumulata nel 2014. Il vantaggio mensile di fatto oscillerebbe tra gli 85 e i 153 euro, a seconda dei redditi (dai 18 mila ai 35 mila euro annui), calcola il Caf Uil. Molto meno, se l’anticipo fosse del 50% del Tfr, dunque non una mensilità in più, ma solo mezzo stipendio extra: in busta paga si vedrebbero dai 43 ai 76 euro. Poca cosa.
Tutto ciò nel caso in cui (logico e favorevole) l’anticipo del Tfr sia tassato non come cumulo di reddito e dunque con un’aliquota Irpef più alta (sarebbe una stangata fiscale in piena regola). Ma in modo separato e agevolato, come avviene ora alla fine del rapporto di lavoro, con un’aliquota media pari a quella Irpef degli ultimi cinque anni (più un 11% della rivalutazione), dunque tra il 23 e il 25%. Ebbene, anche in quest’ultimo caso di tasse ridotte, salirebbe il reddito. Non quello imponibile ai fini Irpef, ma quello Isee. Che proprio dal 2015 ricomprende nel suo calcolo, giustappunto, anche tutti i redditi a tassazione separata, come appunto il Tfr, oggi esclusi.
Ma più Tfr significa maggiore reddito Isee, dunque minori sconti, specie per redditi medio- bassi. Vediamo qualche esempio. Un reddito Isee di 12.500 euro a Milano paga una tariffa di asilo nido pari a 103 euro mensili. Ma se quel reddito si alzasse anche solo di un euro per effetto del Tfr anticipato – la retta passerebbe a 232 euro: 129 euro in più al mese. Conviene? Il costo della mensa scolastica a Roma è di 50 euro mensili per redditi Isee non superiori, anche qui, a 12.500 euro. Limite che un anticipo di liquidazione potrebbe violare, portando così la mensa a 54 euro. L’iscrizione all’università La Sapienza di Roma costa 549 euro l’anno, per i redditi Isee di 12 mila euro. Si passerebbe a 600 euro con un reddito poco sopra. A Bari chi ha un reddito Isee di 10 mila euro non paga la Tasi. Sarebbe rischioso accettare il Tfr nello stipendio, se poi questo comportasse l’obbligo di versare la tassa sulla casa e per giunta con aliquota massima, al 3,3 per mille.
«Sarà una scelta volontaria», rassicurava ieri il ministro dell’Interno Alfano. «E se si fa, non costerà neanche un euro in più di tasse», rincarava il viceministro all’Economia Morando. Dipende, verrebbe da dire. (Repubblica)
7 ottobre 2014