Articolo 18 salvo per gli statali e stretta sulla durata delle assemblee sindacali. Governo e sindacati al lavoro sul Testo unico per il pubblico impiego, destinato a riscrivere molte delle norme che regolano i rapporti nelle amministrazioni statali. Nel decreto in preparazione sarà inserita una clausola ad hoc che espliciterà quanto chiarito più volte dal ministro Madia: le modifiche all’articolo 18 introdotte con la legge Fornero e con il Jobs act non si applicano ai 3,4 milioni di statali. Si sta studiando quindi una formula in grado di specificare una volta per tutte che i dipendenti pubblici sono al riparo dagli interventi, cuciti addosso al lavoratore privato, che hanno circoscritto il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo. Per i dipendenti pubblici la versione originale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori resterà immutata: una scelta politica coerente con le indicazioni della Cassazione.
Chi sta lavorando al dossier spiega che nel settore privato, con il licenziamento, se non scatta la reintegra allora c’è l’indennizzo. Ma nel pubblico, in quel caso, a pagare sarebbe è la collettività. Un passaggio che si intende evitare. Inoltre nel caso del dipendente pubblico vanno difesi tre valori costituzionali: imparzialità, autonomia e indipendenza.
Passi in avanti sulla questione dei permessi e dei distacchi sindacali. L’Aran, l’agenzia che rappresenta il Governo nelle trattative, ha messo giù un primo testo, che innanzitutto fa ordine in una materia che dal 1998 non è stata più aggiornata in modo compiuto. Tra le novità, spunta il tetto alla durata delle assemblee sindacali, indicando come soglia minima i 30 minuti, mentre resta da definire il limite massimo. Alla base di quest’ipotesi ci sarebbe la volontà di impedire assemblee finte. Tra le ipotesi in discussione c’è anche l’idea di dettagliare le voci stipendiali che spettano al sindacalista in distacco (nella bozza per i ministeri sarebbe stata esplicitata l’attribuzione, oltre alla retribuzione base, anche delle indennità).
La trattativa è comunque solo agli inizi e le parti si rivedranno la prossima settimana, probabilmente mercoledì 8 febbraio. Si tratta di ridistribuire le diverse prerogative sulla base dei nuovi comparti della Pubblica amministrazione, visto che da 11 si è passati a 4. Da entrambe le parti trapela la volontà di arrivare presto a un’intesa valida per il triennio 2016-2018. Si punta a tempi brevi anche per non sovrapporre questo negoziato a quello, più pesante, sui rinnovi contrattuali. A questo proposito, occorre ricordare che il governo Renzi ha messo sul piatto 5 miliardi (di cui 3,3 già coperti), mentre sono previsti 85 euro di aumento medio mensile sui contratti di primo livello. Sulla distribuzione di queste risorse, per ora le carte sono coperte.
La sola certezza, al momento, è che l’asse Palazzo Chigi-Tesoro si è impegnato a fare in modo che gli aumenti non influiscano sugli 80 euro in busta paga, cercando di evitare l’effetto paradossale di cancellare il bonus a quanti, con la crescita del salario, supereranno quota 26 mila euro di reddito. «Basta rinviare, rivendichiamo i contenuti dell’accordo del 30 novembre, dal superamento del precariato al riequilibrio fra legge e contratto, dal ripristino della piena contrattazione nazionale e decentrata, alla ripresa delle relazioni sindacali», ha protestato Antonio Foccillo, il segretario confederale della Uil.
Il Messaggero – 2 febbraio 2017