L’Italia è tornata a puntare il dito contro la didattica a distanza, come fa più o meno da un anno e mezzo, da quando cioè le nostre vite sono cambiate a causa del coronavirus. Nelle scorse ore infatti sono usciti i risultati delle prove Invalsi 2021, test sottoposti agli studenti al termine dei cicli scolastici per valutare in modo omogeneo le loro competenze. E la situazione appare critica e in peggioramento rispetto ai dati pre-pandemici, quanto basta per gridare che la non presenza degli alunni sui banchi di scuola sia stato l’elemento decisivo nella crisi di apprendimento. Una conclusione sicuramente corretta, ma anche superficiale e che non tiene conto delle difficoltà che l’istruzione italiana già viveva prima del 2020.
Alle fine delle scuole medie il 39% degli studenti non ha raggiunto il livello minimo di italiano, contro il 34% di due anni fa. Per quanto riguarda la matematica, il dato è al 45%, quasi uno studente su due, contro il 39% del 2019. Alle scuole superiori il mancato raggiungimento del livello minimo di italiano riguarda il 44% degli studenti, contro il 35% di due anni fa. In matematica si arriva addirittura al 51%, un balzo in avanti rispetto al 42% del 2019. Il 9,5% degli studenti che completa le scuole superiori ha competenze di base fortemente inadeguate, la cosiddetta dispersione scolastica implicita, a differenza del 7% del 2019.
Se questi dati già creano turbamento, ancora peggiore è la situazione guardando alle differenze territoriali. In Campania per esempio il 73% degli studenti è sotto il livello minimo di competenza in matematica, ma in generale in tutto il Mezzogiorno i numeri sono molto più critici rispetto al resto del paese. Decisivo in questo senso è allora il contesto sociale ed economico, la situazione familiare, in una spirale in cui i poveri e gli esclusi diventano sempre più poveri ed esclusi. È soprattutto da questo punto di vista che è difficile non puntare il dito contro la didattica a distanza dell’ultimo anno e mezzo.
Siamo abituati a dare per scontata una connessione internet veloce e la disponibilità di un device elettronico personale, ma la realtà è che per molte famiglie e territori si tratta di un’utopia. Secondo una stima di AGCOM, sono circa 485mila le abitazioni in Italia in cui la linea non arriva o arriva molto disturbata. A questo si aggiunge il fatto che nell’anno pre-pandemico un terzo delle famiglie italiane non aveva un pc a casa, chi ce l’aveva quasi nella metà dei casi ne disponeva solo uno. La pandemia ha certamente spinto a correre ai ripari, le scuole hanno dato una mano finché hanno potuto per offrire sostegno e strumentazione agli studenti più in difficoltà, ma mettere una pezza definitiva è stato impossibile e per molti la Dad è rimasta un infinito percorso a ostacoli.
Ecco come spiegare i numeri tragici emersi dai risultati delle prove Invalsi 2021. Ma l’analisi potrebbe fermarsi qui solo se partissimo da una situazione buona e l’ultimo biennio avesse visto un peggioramento drastico. Invece, per quanto un declino evidente ci sia stato, i dati ci ricordano che comunque non è che fino alla pandemia le cose andassero bene. Il livello minimo di italiano e matematica non veniva raggiunto già da oltre un terzo degli studenti, la dispersione scolastica implicita era già un problema rilevato e, soprattutto, le disuguaglianze territoriali non sono nate con il virus. La scuola italiana, insomma, non si è trovata in crisi ora a causa della Dad, semplicemente la Dad ha compromesso una situazione già profondamente difficile. Già nel 2018 Roberto Ricci, direttore generale dell’Invalsi, sottolineava d’altronde come “un anno di scuola in Veneto vale come due anni di scuola in Calabria”, mentre nel 2019 rincarava la dose dicendo che “in larga parte del sud ci sono ragazzi che affrontano l’esame di terza media avendo competenze da quinta elementare”.
Quello che si può fare ora, nel breve, è favorire in ogni modo la vaccinazione della popolazione italiana così da schivare ogni rischio che l’anno scolastico che inizierà a settembre sarà un altro anno di istruzione a distanza. Sarebbe una prima toppa messa al buco, consentirebbe di far rientrare le nuove difficoltà emerse dai risultati del test Invalsi del 2021. Ma la scuola italiana non sarebbe salva, perché c’è una lista infinita di problemi sistemici che non si troveranno risolti una volta che gli studenti torneranno in modo definitivo sui banchi.
WIRED