È un caso la lettera spedita dai componenti del Comitato Tecnico Scientifico della Regione al loro coordinatore, il direttore sanitario di Azienda Zero Mario Saia, con la richiesta di utilizzare il test molecolare per lo screening del personale sanitario anziché il test rapido antigenico, come accade oggi. La missiva, infatti, suona come un’implicita sconfessione dei test rapidi su cui il Veneto sta investendo in modo massiccio e come un’esplicita conferma delle perplessità già manifestate sulla loro attendibilità da Andrea Crisanti, responsabile del laboratorio di microbiologia dell’Azienda ospedaliera di Padova.
Proprio Crisanti, che in virtù del suo ruolo siede nel Comitato creato dal presidente Luca Zaia il 3 marzo, nei primissimi giorni della pandemia, risulta come primo firmatario della lettera. Ma dietro al suo nome ci sono quelli di Andrea Vianello, primario di Fisiopatologia Respiratoria di Padova, Anna Maria Cattelan, primario di Malattie Infettive di Padova, Evelina Tacconelli, che ricopre lo stesso incarico a Verona, Francesco Zambon, coordinatore dell’Oms per le Regioni, Viviana Da Dalt, primario del Pronto Soccorso Pediatrico di Padova, Marco Baiocchi, primario di Anestesia e Rianimazione di Bassano, Paolo Navalesi, primario sempre di Anestesia e Rianimazione a Padova, e Vincenzo Baldo del Dipartimento di Scienze Cardio Toraco Vascolari del Bo. Insomma, l’intero Cts regionale, con l’unica eccezione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento.
Nella lettera il team chiamato da Zaia a coadiuvare la politica nelle difficili scelte di contrasto al virus chiede di riscrivere il Piano di sanità pubblica in considerazione del mutato scenario epidemiologico e delle nuove indicazioni del ministero della Salute, prevedendo che medici, infermieri e tecnici di stanza nei reparti non siano più monitorati con il test rapido ogni 8 giorni, così come accade oggi, bensì con il test molecolare, sempre nello stesso intervallo temporale, «da considerarsi prima scelta laddove sia garantita la refertazione entro le 36 ore». Il test rapido? Viene declassato a «scelta alternativa» e se proprio lo si deve fare va eseguito in un arco di tempo dimezzato, e cioè ogni 4 giorni anziché 8.
Una posizione in linea con quella dell’Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri, che col segretario Adriano Benazzato ha espresso in più occasioni la sua contrarietà all’uso dei tamponi antigenici rapidi per il personale sanitario in nome della «cautela» e della «massima prudenza». È però evidente che un conto è che tale contrarietà sia espressa da un organismo sindacale, un altro che sia espressa da un organismo tecnico di supporto all’Unità di crisi presieduta da Zaia, che fa proprio dell’uso a tappeto dei test rapidi il pilastro fondamentale della sua azione di contrasto al covid. «Rapidi» sono i tamponi utilizzati negli ospedali, per l’appunto, nelle scuole, nelle case di riposo. «Rapidi» sono i tamponi utilizzati nei drive-in a cui vengono inviati i cittadini dal Servizio di igiene. E «rapidi», infine, sono pure i tamponi che sono stati consegnati ai medici di base, dopo lunga e difficile trattativa. Soltanto ieri, secondo il report di Azienda Zero, ne sono stati fatti 29.712, su un totale di 47 mila tamponi.
La domanda a questo punto è: se questi test sono ritenuti inaffidabili dai medici, che non vogliono utilizzarli per sé, perché dovrebbero esserlo per tutti gli altri cittadini, a cominciare dagli anziani ed i bambini? La vicenda è delicata per la Regione, che confortata dai pareri favorevoli del ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Istituto Spallanzani e dell’Oms, ha fatto fin qui molto affidamento sullo strumento di screening messo a punto da Roberto Rigoli, direttore del laboratorio di microbiologia di Treviso e coordinatore di tutti i laboratori del Veneto. Che giusto tre giorni fa, presentando il test fai-da-te (evoluzione proprio del test rapido) ha ribadito: «I test rapidi, verificati in parallelo con i molecolari, ci hanno dato un’attendibilità superiore al 99%». Con ciò replicando indirettamente, ancora una volta, a Crisanti, secondo cui a questi tamponi sfuggirebbero invece ben 3 positivi su 10.
Zaia, tra lo sconsolato e l’irritato, allarga le braccia: «A questo punto ho chiesto a Saia, il coordinatore del nostro Cts, di raccogliere tutta la documentazione che Navalesi, Cattelan, Tacconelli e gli altri immagino saranno in grado di produrre a sostegno delle loro tesi e quando avremo l’incartamento lo spediremo a Roma affinché il ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità mettano la parola fine a questa querelle che va avanti da troppo tempo e ha avuto fin troppo spazio. Non voglio degeneri oltre, visto che si sta pure “sindacalizzando”». Con un aspetto, che per Zaia diventa a questo punto dirimente: «Se si stabilirà che i test rapidi non sono affidabili, e dunque è meglio non utilizzarli per i medici, allora non potranno più essere utilizzati neppure per le altre categorie di persone, perché trovo inaccettabile che ci siano cittadini di serie A, a cui si riservano i test “che funzionano”, e cittadini di serie B, a cui si danno invece quelli “che forse non funzionano”».
Fino al verdetto di ministero e Iss la Regione continuerà ad applicare il Piano di sanità pubblica così com’è, e dunque a testare ogni 8 giorni il personale sanitario con i test rapidi, ma a questo punto sarebbe bene che si chiarisse una volta per tutte la questione: perché come detto i test rapidi sono utilizzati ogni giorno da decine di migliaia di persone, che sulla base di un responso negativo continuano a fare la vita di tutti i giorni; perché in ballo c’è una gara d’appalto da 148 milioni di cui il Veneto sta scrivendo il bando in qualità di capofila di una cordata che annovera Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte; e perché Palazzo Balbi sta conducendo da due settimane una dura battaglia col governo in seno alla Conferenza delle Regioni, affinché i test rapidi vengano inseriti a pieno titolo nei calcoli da cui dipendono le «fasce» in cui è divisa l’Italia. Ma se non funzionano o funzionano male, che si fa?