Parziale cambio di rotta del Ministero della Salute sui criteri di utilizzo dei test antigenici rapidi. La diffusione delle varianti del Sars Cov-2 nel nostro Paese e la necessità di un testing più efficace nell’identificarle, hanno indotto le Direzioni generali Prevenzione e Dispositivi medici di via Ripa, a emanare una nuova circolare, pubblicata ieri, che corregge alcune indicazioni contenute nella circolare precedente dell’8 gennaio 2021. Da inizio gennaio erano considerati validi per la diagnosi di positività (o meno), infatti sono entrati nel computo dei “nuovi positivi” diramato ogni giorno dalla Protezione Civile. Ma da adesso in poi non basterà più, per la diagnosi, un solo test rapido LA NUOVA CIRCOLARE
Non si può escludere, scrivono i tecnici del Ministero, che l’arrivo delle varianti abbia influito sull’efficacia dei test antigenici rapidi. Nella circolare si premette che le nuove varianti, dalla cosiddetta variante UK alla variante brasiliana, che presentano diverse mutazioni nella proteina spike (S), non dovrebbero in teoria causare problemi ai test antigenici, in quanto questi rilevano la proteina N. Ma questo solo in teoria perché, aggiunge il Minsalute, è da tenere presente che anche per la proteina N stanno emergendo mutazioni che devono essere attentamente monitorate per valutare la possibile influenza sui test antigenici che la usino come bersaglio. Inoltre, l’uso dei test molecolari basati su una combinazione di geni virali target che comprende il gene S, può essere di ausilio per lo screening della variante VOC 202012/01 (comunemente indicata variante UK), poiché alcuni test utilizzati correntemente, a fronte della positività al/i target non-S, risultano negativi al gene S, a causa della presenza nella variante di una delezione che determina la non rilevazione di questo target, rappresentando quindi un’indicazione per il successivo sequenziamento”.
LE NUOVE INDICAZIONI
Contesti a bassa prevalenza
Alla luce dei risultati disponibili nella letteratura scientifica appare chiaro che, pur considerando l’elevata specificità dei test antigenici, i campioni positivi a tali test in contesti a bassa prevalenza necessitano di conferma con un test molecolare o, in caso di mancata disponibilità di tali test molecolari, con un test antigenico differente, per eliminare la possibilità di risultati falsi positivi.
Persone con sintomi o con link epidemiologico
D’altro canto, data la sensibilità analitica non ottimale di diversi test antigenici attualmente disponibili, è consigliabile confermare la negatività di test antigenici eseguiti su pazienti sintomatici o con link epidemiologico con casi confermati di COVID-19. Questa necessità è rafforzata dalla possibile circolazione di varianti virali con mutazioni a carico della proteina N, che è il principale antigene target utilizzato in questo tipo di test.
Si ribadisce comunque che, in caso di mancata pronta disponibilità di test molecolari, o in condizioni d’urgenza determinate dalla necessità di prendere decisioni di sanità pubblica in tempi rapidi, si può ricorrere per la conferma a test antigenici, quali appunto i test antigenici non rapidi (di laboratorio), i test antigenici rapidi con lettura in fluorescenza e quelli basati su microfluidica con lettura in fluorescenza, che rispondano alle caratteristiche di sensibilità e specificità minime (sensibilità maggiore uguale 80% e specificità maggiore uguale 97%, con un requisito di sensibilità più stringente (maggiore uguale 90%) in contesti a bassa incidenza).
Persone senza sintomi e screening di popolazione
Inoltre, per quanto riguarda l’esecuzione di test su persone asintomatiche, e in genere per gli screening di popolazione, si ribadisce, come già raccomandato nella precedente circolare, la raccomandazione di usare test antigenici ad elevata sensibilità e specificità (sensibilità maggiore uguale 90%, specificità maggiore uguale 97%), per ridurre il rischio di risultati falsi-negativi e/o falsi-positivi. A tal proposito, nell’ambito del counseling post-test, il medico deve ribadire la necessità di mantenere comportamenti prudenti anche in caso di risultato negativo, mentre in caso di risultato positivo deve considerare la plausibilità di tale risultato nel contesto del singolo caso, e l’eventuale ricorso ad un test di conferma.
Responsabilità dei soggetti che commercializzano i test nel fornire esatte indicazioni e dati di sensibilità
In chiusura della circolare il Minsalute chiarisce anche il tema della responsabilità dei soggetti che commercializzano i test nel fornire esatte indicazioni e dati di sensibilità per un utilizzo commisurato alla qualità dei prodotti a marchio CE. “Dal punto di vista regolatorio, i test ad uso professionale sono marcati CE dalle aziende fabbricanti, sotto la propria responsabilità, come previsto dalla Direttiva 98/79/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332. Più in dettaglio, il fabbricante, cui spetta la responsabilità della marcatura CE del dispositivo, deve assicurare che i prodotti da immettere sul mercato comunitario rispettino i requisiti essenziali di sicurezza ed efficacia delle prestazioni fissati nella richiamata Direttiva; sempre il fabbricante è tenuto ad eseguire le procedure per la valutazione della conformità del dispositivo”.
E aggiunge: “La classificazione di un dispositivo medico-diagnostico in vitro dipende dalla destinazione d’uso attribuita ad esso dal fabbricante e dal rischio associato in rapporto ai danni per la salute pubblica e al trattamento del paziente. È quindi onere del fabbricante, che ha la piena conoscenza delle caratteristiche dei propri dispositivi, inquadrare correttamente la normativa che regola i propri prodotti, tenuto conto della destinazione d’uso ad essi attribuita e del meccanismo d’azione alla base di tale destinazione, e di conseguenza attivarsi in coerenza con le norme vigenti”.
A cura Sivemp Veneto