Le accuse di immobilismo lanciate da Passera alla Ragioneria accendono i riflettori sull’assenza di iniziativa di Palazzo Chigi
ROMA – Leggi, decreti, circolari, convenzioni: non si può dire che negli ultimi tempi la politica non si sia occupata dell’annoso problema dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione . Ma a fronte delle decine di testi e documenti prodotti, i risultati finora sono minimi, praticamente inesistenti. Le aziende, soprattutto piccole, continuano a non poter fare affidamento su un flusso di liquidità di cui avrebbero bisogno come ossigeno, in un momento così difficile. La questione dei ritardati pagamenti ha però anche un altro profilo, che tocca direttamente la credibilità dello Stato: il quale se legittimamente esige dai cittadini imposte e contributi anche in tempi di crisi, è invece inadempiente al momento di onorare i propri impegni. E questo certo non contribuisce a migliorare il clima generale di fiducia. Così anche il ministro dello Sviluppo Corrado Passera è uscito allo scoperto e in un’intervista al Messaggero ha addossato al Tesoro, e per certi versi alla presidenza del Consiglio, la responsabilità del blocco dei pagamenti.
IL FLOP DELLA CERTIFICAZIONE
Le ragioni dello stallo sono complesse e solo in parte hanno a che fare con le preoccupazioni di prudenza contabile. Emblematica è la vicenda della procedura di certificazione dei crediti, faticosamente messa a punto per dare una svolta alla vicenda. L’obiettivo era mettere le imprese in condizione di poter utilizzare i propri crediti cedendoli alle banche o anche compensandoli con eventuali somme dovute allo Stato per tributi non pagati. È stata allestita una piattaforma informatica sulla quale si sarebbero dovute registrare pubbliche amministrazioni e imprese, con la possibilità di intervento delle banche che avrebbero così potuto svolgere le pratiche per conto dei propri clienti.
Allo scorso febbraio risultavano però rilasciate solo 71 certificazioni, per un importo di appena 3 milioni di euro sui circa 70 miliardi di debito complessivo scaduto della pubblica amministrazione. Erano abilitati all’uso della piattaforma solo 1.227 enti pubblici (tra cui oltre 900 Comuni del Centro-Nord) e 289 imprese. Insomma un insuccesso, almeno per il momento. Ci sono stati ritardi tecnici (per i quali negano ogni responsabilità sia la Consip, la società del ministero dell’Economia che si occupa di informatica, sia il sistema bancario). Ma soprattutto pare evidente l’assenza di una regia organizzativa, in grado di coordinare e pungolare le parti in causa, pubbliche e private. Al Tesoro non c’è più nessun dirigente che segua a tempo pieno la vicenda, dopo che a ottobre Andrea Montanino, responsabile per i progetti speciali che aveva avviato tutto il processo, si è trasferito a Washington come direttore esecutivo del Fondo monetario.
Ancora più avvolto nelle nebbie è l’esito di un’altra iniziativa messa in campo all’inizio dell’anno scorso per dare sollievo alle imprese. Con l’articolo 35 del decreto sulle liberalizzazioni erano stati stanziati complessivamente 5,7 miliardi per accelerare i pagamenti: di questi, almeno 2 su richiesta degli interessati sarebbero stati pagati sotto forma di titoli di Stato. La misura era neutrale per i conti pubblici, tanto più che i fondi dovevano essere reperiti attingendo alle somme destinate ai rimborsi fiscali, quindi dovute in ogni caso ai cittadini. Ma dopo che a giugno la Ragioneria generale dello Stato ha pubblicato la circolare relativa al pagamento in Buoni del Tesoro, non si è avuta alcuna notizia di ulteriori progressi.
LA DIRETTIVA EUROPEA
Nel frattempo alla fine dello scorso anno il governo ha deciso di adottare in anticipo la direttiva Ue sui tempi di pagamento che prevede per i contratti conclusi dal primo gennaio 2013 il termine di 30 giorni. Resta però il macigno dei debiti pregressi. Il ministro Passera non dispera di poter dare qualche segnale concreto nelle ultime settimane di vita dell’attuale governo. E la strada potrebbe essere l’emissione di titoli di Stato ad hoc con il supporto temporaneo della Cassa depositi e prestiti. Una cinquantina di miliardi di debito in più – a fronte dell’effetto di rilancio dell’economia – non sarebbero una tragedia, visto che l’Italia si è indebitata per una cifra analoga per sostenere la Grecia e gli altri Paesi europei in difficoltà.
Il Messaggero – 19 Marzo 2013