Alessandro Barbera. Nonostante una domenica di lavoro e di telefonate, fra Roma e Bruxelles non c’è ancora l’accordo politico sui numeri della prossima legge di bilancio. È per questo che il governo oggi sarà costretto a rinviare a domani l’approvazione della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Un consiglio dei ministri oggi ci sarà, ma solo per annunciare la data del referendum costituzionale, probabilmente il 4 dicembre.
Fra governo e Commissione europea c’è ancora da mettere a punto alcuni numeri importanti: secondo quanto riferiscono fonti del Tesoro, il problema riguarda soprattutto la definizione del livello del debito pubblico nel 2017. L’ultima comunicazione all’Europa lo fissa al 132,2 per cento, Bruxelles si aspetta uno sforzo importante. Le mancate privatizzazioni di quest’anno costringono il governo a mostrarsi credibile sia rispetto allo stock di debito che sull’insieme dei tagli alla spesa. Ecco perché, più che fra Roma e Bruxelles, la questione sta creando tensioni fra il premier e il ministro del Tesoro: Renzi, ormai dentro la più delicata campagna elettorale della sua carriera, non vuole trovarsi costretto a giustificare una manovra di sacrifici come nuovi tagli alla spesa sanitaria. Di più: prima del referendum il premier vorrebbe mettere a bilancio la promessa riduzione dell’Irpef nel 2018, ma oggi lo spazio fiscale per scriverla nero su bianco secondo il Tesoro non c’è.
La questione su quanta flessibilità ottenere per il 2017 è di fatto rinviata: il governo ha accordato con la Commissione un deficit ai fini del saldo strutturale (ovvero quello che non tiene conto dell’andamento dell’economia) del 2,1 per cento, giusto un decimale sotto il livello previsto nel Def dell’anno scorso. Come già accadde l’anno scorso, le spese aggiuntive per le cosiddette «circostanze eccezionali» saranno conteggiate a parte e oggetto di un supplemento di trattativa. Come anticipato ieri, il governo chiede circa 6,5 miliardi per finanziare tre voci: immigrazione, sicurezza e terremoto. Sono quattro decimali che farebbero salire il deficit per il 2017 ad una soglia sostanzialmente pari o poco sotto il 2,5 per cento con cui il governo calcola di chiudere il deficit di quest’anno. Il referendum costituzionale sarà lo spartiacque dei rapporti fra Renzi e l’Europa: se passerà, il premier avrà probabilmente la forza politica di prendersi la flessibilità che chiede, fino al punto di accettare il prezzo di una procedura per deficit eccessivo. Fino a quel momento le circostanze lo costringono alla prudenza. «Una rottura con Bruxelles sarebbe una mina alla credibilità dell’Italia che il premier in questa fase non può permettersi», dice una fonte di governo che chiede l’anonimato. «Il premier ne è consapevole».
La strada da imboccare resta dunque stretta, almeno fino al referendum. Renzi ha ormai promesso per il 2017 il piano di anticipo pensionistico, l’allargamento della quattordicesima ai pensionati a reddito basso, il rinnovo del contratto dei pubblici, il rifinanziamento dei bonus edilizi e le risorse per il piano Calenda sull’innovazione delle imprese. Non è da escludere che parte del menù della manovra venga momentaneamente congelato in attesa di un accordo con Bruxelles sulle spese fuori dal Patto di Stabilità e del referendum. Il voto sarà con tutta probabilità il 4 dicembre perché calendario alla mano quella è la data che dovrebbe garantire l’approvazione definitiva della manovra in prima lettura alla Camera. In caso di vittoria del no, il Quirinale ha chiesto una seconda lettura rapida per evitare pesanti contraccolpi sui mercati finanziari.
La Stampa – 26 settembre 2016