Al terzo tentativo, il decreto «salva-Roma» ottiene il via libera definitivo del Parlamento e stabilizza anche i correttivi alla Tasi, il tributo sui servizi indivisibili. Il disco verde che ha evitato al provvedimento la decadenza toccata alle prime due versioni è stato acceso mercoledì dal Senato con 132 sì, 71 no e 9 astenuti, ed è stato accolto ovviamente con sollievo al Comune di Roma che trova nella legge di conversione le basi su cui poggiare il proprio bilancio.
Al di là della Capitale, dove comunque non mancano le difficoltà a partire dalla gestione dei contratti integrativi al personale giudicati illegittimi dalla Ragioneria generale, e della proroga al 31 maggio dei termini per la rottamazione delle cartelle, il nodo politico del provvedimento è al primo articolo, quello dedicato alla «superTasi» per finanziare le detrazioni sulla prima casa.
L’obiettivo era di superare il vizio genetico del nuovo tributo sui servizi indivisibili, che di fatto sostituisce l’Imu ma a differenza della vecchia imposta non prevede detrazioni fisse in grado di ridurre fino ad azzerare il carico fiscale sulle abitazioni di valore catastale più ridotto. Per ovviare al problema senza mettere a rischio gli equilibri delicati dei conti pubblici, il correttivo introduce appunto la «superTasi», cioè la possibilità di applicare un’aliquota extra dello 0,8 per mille (alle abitazioni principali o agli altri immobili, oppure dividendo il carico fra le due categorie) per finanziare gli sconti. Un fondo aggiuntivo da 625 milioni di euro chiude il cerchio per coprire i buchi apertisi nei Comuni con l’addio all’Imu sulle abitazioni principali.
Nel passaggio dalla teoria alla pratica, rappresentata dalle decisioni che stanno prendendo forma nelle città (su cui si veda anche l’inchiesta sul Sole 24 Ore di ieri), il meccanismo nato dall’accoppiata fra legge di stabilità e «salva-Roma» mostra che per molti proprietari il passaggio alla Iuc, l’imposta unica immobiliare formata da Imu, Tari e Tasi, non sarà indolore.
Le nuove regole, prima di tutto, consentono al Fisco immobiliare su seconde case, negozi, capannoni industriali, alberghi, uffici, centri commerciali e così via di raggiungere l’11,4 per mille, e quindi di crescere ancora anche nei tanti Comuni in cui l’aliquota Imu ha raggiunto il massimo del 10,6 per mille già nel 2013 (si veda l’articolo qui sotto).
L’aliquota aggiuntiva, che se applicata all’abitazione principale porta il peso massimo al 3,3 per mille, può essere prevista solo dai Comuni che garantiscono detrazioni alle prime case, ma la regola non si preoccupa di due importanti “dettagli”: non si dice che tutto il gettito aggiuntivo prodotto dalla «super-aliquota» vada destinato agli sconti, e non si chiarisce se le detrazioni devono impedire alla Tasi di superare l’Imu pagata nel 2012 (nel 2013 l’imposta è stata quasi integralmente coperta dallo Stato). La legge approvata ieri si avventura nel chiedere che le detrazioni siano «tali da generare effetti sul carico di imposta Tasi equivalenti o inferiori a quelli determinatisi con riferimento all’Imu relativamente alla stessa tipologia di immobile», ma questa «equivalenza» viene interpretata in vario modo dai Comuni, senza che ci siano per ora interpretazioni ufficiali. In tanti Comuni, da Milano a Roma, sono in cantiere, infatti, detrazioni selettive, con il risultato che ci saranno abitazioni principali destinatarie di un conto Tasi più pesante dell’Imu.
Piuttosto complicata è anche la prospettiva delle regole di versamento. I Comuni hanno tempo fino al 31 luglio per approvare le regole, ma l’acconto è in calendario per il 16 giugno: nei Comuni che non approveranno le aliquote entro il 31 maggio (per l’abitazione principale una norma mal coordinata fissa in realtà la data del 23 maggio) si pagherà quindi con l’aliquota standard, che prevede l’1 per mille senza detrazioni. Di conseguenza, saranno chiamati alla cassa anche contribuenti che con le regole definitive non dovranno pagare il tributo (abitazioni principali esentate, oppure altri immobili a cui la Tasi non sarà applicata), e che quindi dovranno poi chiedere il rimborso: da capire, poi, come può essere fissata in questo caso la quota a carico dell’occupante, che va decisa dal Comune. Scarsa, per ora, anche la chiarezza sulle modalità dei pagamenti: la legge di stabilità imporrebbe ai Comuni di scrivere bollettini precompilati, ma gli enti spesso non sono in condizioni per farlo (soprattutto per quel che riguarda la quota a carico dell’inquilino) e una bozza di risoluzione delle Finanze apriva all’autoliquidazione, cioè al calcolo “autonomo” da parte del contribuente, ma non è ancora stata firmata: anche questa partita, quindi, rimane al momento aperta.
Il Sole 24 Ore – 2 maggio 2014