«Bisogna ancora scommettere sul libero mercato e la libertà di commercio», con «scelte di fondo che non tollerano ambiguità». Il premier Paolo Gentiloni torna sull’aumento dei dazi annunciato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ma parla anche delle decisioni di politica economica sul tavolo del nostro governo. L’obiettivo, spiega, è «accompagnare la crescita», «consentire che abbia un ritmo più accelerato» e fare in modo che «non ci siano effetti depressivi». Non si riferisce alla manovrina di metà aprile chiesta da Bruxelles. L’orizzonte è quello della legge di Bilancio, da approvare dopo l’estate. Quali sono gli effetti depressivi da escludere? Non solo l’aumento dell’Iva che scatterebbe se il governo non dovesse trovare 20 miliardi di euro da mettere sul piatto. Il premier si riferisce a un percorso di rientro del deficit che non può essere così rapido come chiede Bruxelles. La manovrina di aprile riporterà il rapporto fra deficit e Pil, il Prodotto interno lordo, dal 2,4% al 2,2%. L’anno prossimo il rapporto dovrà scendere al di sotto della soglia del 2%. Ma senza arrivare a quell’1,2-1,3% indicato dall’Ue. Spingersi così in basso renderebbe impossibile qualsiasi intervento al di là dello stop all’aumento dell’Iva.
I margini di manovra, comunque, saranno stretti. Anche per questo, oltre che per una scelta politica, l’intervento sul cuneo fiscale, cioè il taglio delle tasse sul lavoro, dovrebbe essere limitato e progressivo. Riguarderà i giovani, di fatto le nuove assunzioni. Ma, a differenza dello sconto sui contributi del Jobs act che durava al massimo tre anni, sarà strutturale: le tasse sul lavoro saranno più basse per tutta la vita lavorativa dei nuovi assunti. In questo modo all’inizio saranno sufficienti coperture ragionevoli, non più di un miliardo di euro. Ma i giovani assunti con un costo del lavoro più basso andranno a sostituire progressivamente quelli che già adesso lavorano e hanno un carico fiscale in busta paga più elevato.
Una transizione simile a quella voluta dal governo Renzi per smontare l’articolo 18, con i nuovi assunti che di fatto non ce l’hanno più, mentre lo conservano quelli che già lavoravano al momento della riforma. Ma anche un doppio canale che renderebbe per le aziende (ancora) più appetibile assumere un giovane al posto di un dipendente più anziano.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 2 aprile 2017