Dal decreto che ha cancellato l’acconto Imu al Ddl di stabilità ammontano a oltre 2 miliardi i rincari d’imposta pronti a scattare in virtù delle clausole di salvaguardia. Se l’Iva derivante dal pagamento dei debiti della Pa e la sanatoria per il danno erariale non garantiranno le risorse messe in preventivo, entro il 30 novembre ci sarà l’aumento automatico di accise e acconti Ires e Irap.
Mentre in assenza di riordino dei bonus entro fine gennaio, arriverà il taglio retroattivo delle detrazioni del 19 per cento. I possibili rincari con le clausole di salvaguardia. A gennaio detrazioni sotto tiro. Chi vuol capire come funziona una clausola di salvaguardia non deve far altro che tornare con la memoria allo scorso 1? ottobre: Iva dal 21 al 22%, senza nemmeno bisogno di un decreto o di una legge.
Era tutto già scritto dal 28 giugno, quando è andato il Gazzetta Ufficiale il provvedimento che fissava la nuova data del rincaro. Anzi, a ben vedere era tutto già scritto dall’estate del 2011, quando la manovra di Ferragosto ha introdotto la possibilità per il Governo di aumentare le imposte indirette in alternativa al riordino dei bonus fiscali. Possibilità trasformata in un automatismo dal decreto salva-Italia del dicembre successivo, e poi ancora ritoccata – ma mai eliminata – altre tre volte.
Ma quello dell’Iva non è certo l’ultimo esempio di clausola di salvaguardia. Nel decreto 102 che ha cancellato l’acconto dell’Imu sulla prima casa e nel Ddl di stabilità ci sono più di 2 miliardi di rincari automatici, che peseranno già sulle tasche dei contribuenti nell’anno d’imposta 2013.
Le prime due tagliole fiscali potrebbero scattare tra pochi giorni, entro il 30 novembre. Se il pagamento dei vecchi debiti della pubblica amministrazione non avrà garantito maggiori entrate Iva per oltre 900 milioni, e se la sanatoria del contenzioso erariale con la Corte dei conti non avrà fruttato altri 600 milioni, basterà un decreto del ministero dell’Economia per coprire le minori entrate con un aumento delle accise e degli acconti Ires e Irap, attualmente in scadenza il prossimo 2 dicembre.
Ma non è finita qui. Il Ddl di stabilità prevede un taglio lineare delle detrazioni fiscali al 19%, se entro il prossimo 31 gennaio non sarà effettuato un riordino mirato, che garantisca almeno 488,4 milioni di maggiori entrate per lo Stato. A rischio sono gli oneri detraibili disciplinati dall’articolo 15 del Tuir e quelli assimilati: in pratica, una lunga lista di agevolazioni che comprende le detrazioni sulle spese sanitarie, sugli interessi dei mutui, sulle polizze vita e infortuni, sulle spese di istruzione, le spese funebri, le donazioni alle Onlus, e così via.
Il riordino delle tax expenditures – come l’aumento dell’Iva – è un tema ricorrente nelle manovre adottate dall’estate 2011 in poi. La differenza è che adesso il tempo a disposizione è pochissimo. Quindi, delle due l’una: o si è già deciso dove intervenire, e in questo caso la politica dovrà prendersi la responsabilità di scontentare qualcuno; oppure si finirà per far pagare a tutti un po’. Riducendo la detrazione al 18% dall’anno d’imposta 2013 – quindi su scontrini e ricevute in gran parte già pagati dai contribuenti – e al 17% dal 2014.
L’abitudine di disseminare i decreti di “tasse dormienti” potrà non piacere ai cittadini e alle imprese, ma si rivela un espediente utilissimo per rassicurare l’Europa sulla stabilità dei conti pubblici. Non a caso è stato usato dal Governo Berlusconi e dall’Esecutivo Letta, passando per quello dei tecnici. Come dire: dove non arriva la capacità (o la volontà) di tagliare la spesa pubblica o alcune agevolazioni in modo selettivo, interviene un rincaro automatico e generalizzato.
È lo stesso meccanismo che il Ddl di stabilità prevede per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di spending review. Il Governo, infatti, avrà carta bianca per aumentare le imposte o tagliare le agevolazioni in modo tale da ottenere maggiori entrate per tre miliardi nel 2015, sette l’anno successivo e 10 all’anno dal 2017 in poi. Cifre oggettivamente enormi, se si pensa alla difficoltà di trovare 2,4 miliardi per annullare il saldo Imu. Senza dimenticare che l’Esecutivo potrà disporre «variazioni delle aliquote di imposta» o intervenire sulla «misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti» con un semplice Dpcm su proposta dell’Economia, soggetto solo al parere delle commissioni parlamentari competenti (Finanze e Bilancio). Forse un po’ troppo poco per salvaguardare, oltre ai conti pubblici, anche le ragioni dei contribuenti.
Il taglio lineare incide di più sui redditi bassi
Il taglio generalizzato delle detrazioni del 19% farà pagare di più ai contribuenti con i redditi alti, ma peserà maggiormente – in termini relativi – su soggetti più poveri, o comunque con un imponibile più basso. Secondo il Ddl di stabilità, la riduzione lineare scatterà se entro la fine del prossimo gennaio non saranno stati adottati i provvedimenti per un riordino delle tax expenditures e sarà progressiva: si passerà dal 19 al 18% per l’anno fiscale 2013 (misura applicata retroattivamente) e al 17% a partire dal 2014.
La detrazione del 19% si applica su oltre una quindicina di tipologie di spesa. Il grosso, però, è concentrato su poche voci. Al primo posto troviamo le spese sanitarie, per le quali quasi 16 milioni di contribuenti chiedono la detrazione: da sole totalizzano la metà della sommatotale portata in detrazione. Queste spese, insieme a quelle relative agli interessi sui mutui per la prima casa, alle assicurazioni sulla vita e alle spese per corsi di istruzione assorbono i nove decimi dell’importo complessivo su cui si applica lo sconto fiscale. Tra questi tipi di spesa, il taglio di un punto delle detrazioni ha il rilievo maggiore per i soggetti che portano in detrazione gli interessi sui mutui: dovranno pagare maggiori imposte per 17 euro relativamente al 2013 e di 34 a partire dall’anno fiscale successivo.
Il valore medio delle maggiori imposte che ogni contribuente deve versare per ogni punto di riduzione delle detrazioni aumenta con il reddito. Passa dai circa 10 euro per i soggetti che denunciano al Fisco non più di 15mila euro all’anno ai 45 di chi ne dichiara oltre 300mila. Con il reddito cresce anche la capacità di spesa dei soggetti, che si manifesta anche nell’aumento del numero medio delle tipologie di spesa portate in detrazione: da 1,4 detrazioni per i contribuenti con redditi fino a 15mila euro a 2,1 per quelli oltre 75mila.
Anche se valore medio della maggiorazione d’imposta è più piccolo per chi sta nella fascia bassa della distribuzione del reddito, il peso economico della misura è più gravoso. Per un nucleo famigliare che denuncia 11mila euro, la riduzione di un punto della detrazione si “mangia” circa un euro ogni mille di reddito, per chi ne guadagna 250mila rosicchia solo 14 centesimi.
Un’applicazione selettiva della misura non sembra però facile, anche a causa della forte concentrazione dei soggetti interessati, e dell’ammontare delle detrazioni, nelle classi di reddito medio-basse. La quasi totalità dei 19 milioni e mezzo contribuenti che beneficia delle detrazioni del 19% dichiara un reddito minore o uguale a 55mila euro. Addirittura 13 milioni di beneficiari sono addensati nei due scaglioni di reddito Irpef centrali (15-28 e 28-55mila euro). Inoltre, in queste fasce vi è una forte concentrazione
Il Sole 24 Ore – 18 novembre 2013