In fila per pagare le tasse, per compiere il proprio dovere di cittadini e di contribuenti. Non è possibile. E il punto non sono gli uffici pubblici a corto di personale, i Comuni vincolati dai limiti del proprio bilancio. Non è questo il punto, ma una questione più profonda: una questione di civiltà. Di un rapporto normale tra i cittadini (non sudditi) e la macchina dello Stato e degli enti locali.
Qui i protagonisti non sono i cittadini che cercano di evitare le tasse, ma coloro i quali, diligentemente, si mettono in coda perché le leggi, invece, vogliono rispettarle. O meglio, vorrebbero rispettarle. Perché in questi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, compresa l’ultima legge di Stabilità, sembra che lo Stato, che via via sta delegando ai Comuni una competenza fiscale sempre più ampia, faccia di tutto per complicare la vita ai cittadini-contribuenti. Nuove imposte e norme che cambiano da un giorno all’altro.
Entro il 24 gennaio andrà pagata la cosiddetta mini-Imu sulla prima casa, un diminutivo improprio per la verità, dal momento che si tratta di una amara beffa per i contribuenti di circa duemila Comuni, che si trovano costretti a pagare un supplemento d’imposta nonostante la promessa dell’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale. Si tratta di versare il 40 per cento della differenza tra l’imposta calcolata con l’aliquota decisa dal comune (ad esempio a Milano lo 0,6 per cento, a Roma lo 0,5 per cento) e quella determinata con l’aliquota standard dello 0,4 per cento.
Calcoli complicati, astrusi criteri per rientrare nei conti. E poi la Tasi, fino all’ultimo non si è saputo quando il Fisco nazional-comunale, avrebbe deciso di fissarne la scadenza. Sappiamo che una rata ci sarà il 16 giugno, il resto chissà. Ma saranno i Comuni a decidere eventuali agevolazioni e soprattutto quale sarà l’aliquota (fino a un massimo del 3,3 per mille sulla prima casa). Un rompicapo non solo tributario. Rischi di errori sui quali il Fisco non è poi particolarmente clemente. E, appunto, file. Per versare un’imposta.
Eppure qualcosa si può, e si deve fare: i Comuni dimostrino che il federalismo tributario può davvero rappresentare un punto di svolta nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e cittadini. Dimostrino di saper far meglio dello Stato, per una volta, siano loro calcolare Tasi (Tassa sui servizi indivisibili) e la Tari (tassa sui rifiuti), le due componenti della neonata imposta comunale unica (Iuc). Facciano i conteggi al posto dei contribuenti e inviino i bollettini direttamente al loro domicilio. Hanno tutti i dati per farlo, basta solo un po’ di volontà? E di attenzione ai cittadini.
A un certo punto nel dibattito parlamentare è stata presentata una proposta che prevedeva proprio questo. Ma purtroppo si è persa nei meandri delle discussioni parlamentari. Forse, osservando quelle file indegne di un Paese civile, qualcuno dovrebbe riprenderla in considerazione. E tentare di ridurre, se non le tasse, almeno il loro caos. Non si può aggiungere all’elevata pressione tributaria una tassa altrettanto indigesta. Quella delle (inutili) complicazioni.
Il Corriere della Sera – 19 gennaio 2014