Dove finiscono i soldi della Tasi? La legge che ha istituito la Tassa sui servizi indivisibili dice chiaro e tondo che i sindaci devono indicare in modo “analitico” non solo il gettito incassato dagli immobili, ma anche l’uso che se ne fa in termini di servizi pubblici finanziati. E lo devono fare in modo chiaro e trasparente.
Dunque sui siti dei Comuni, ad esempio. È così? No. Per capire la destinazione del più tormentato dei balzelli, il cittadino dovrebbe essere un segugio informatico, un esperto di bilanci pubblici e rapido di calcolo. Aprire così delibere, documenti contabili e programmatici, relazioni, regolamenti, bozze. E chi più ne ha, più ne metta. E poi fare tabelle, applicare percentuali, sempre ad avere tempo da perdere. Insomma, una fatica immane. Eppure non dovrebbe essere così. E non solo perché la trasparenza è un obbligo di legge. Ma proprio per la natura stessa della Tasi, da quest’anno e per la prima volta nella storia italiana non più imposta sul patrimonio immobiliare, ma tassa per i servizi ricevuti. E invece niente. Altro che “vedo, pago, voto”. Qui di federalismo fiscale (ancora)neanche l’ombra.
Il Servizio politiche territoriali della Uil ci ha provato. Ed è andato a spulciare nei meandri dei documenti contabili di otto grandi città – Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia, Firenze e Napoli – per capire che fine fanno le tasse sulla casa. E scoprendo che servono a coprire in media poco più di un terzo – il 38% – del costo totale dei servizi indivisibili, quelli cioè non offerti a domanda individuale, come gli asili nido o il trasporto scolastico, ma destinati alla collettività. Intanto quasi nessun Comune rispetta la legge, laddove la 147 del 2013 dice che l’elenco dei servizi finanziati dalla Tasi con relativo importo deve essere inserito nel Regolamento stesso della tassa. Le informazioni si trovano un po’ qui, un po’ nei bilanci (se approvati), un po’ nelle relazioni programmatiche.
Roma è al top della confusione. Indica in 627 milioni i servizi finanziati dalla Tasi. Ma il gettito stimato della tassa è infe- riore e indicato in 572 milioni nel Regolamento e in 636 milioni nel bilancio di previsione. Com’è possibile? Cifre a parte, al top dei servizi troviamo “mobilità e trasporti” per oltre 300 milioni. Nessuna sorpresa, visto che in totale il servizio per bus e metro, non proprio impeccabile, costa al Campidoglio circa 1 miliardo l’anno, un terzo dunque pagato dalla Tasi dei romani. Lo sanno? Al terzo posto, con 47 milioni c’è la “manutenzione stradale, del verde pubblico, illuminazione”. Tra buche, alberi che cadono ad ogni pioggia, strade al buio, non proprio un bel modo di impiegare i proventi della tassa.
Il Comune di Milano è più analitico e trasparente. Ma al pari di Genova lascia al cittadino- commercialista la divisione della torta Tasi: quanto a quali servizi. Al primo posto, nel capoluogo meneghino c’è l’ordine pubblico e la sicurezza: 77 milioni su 165 di gettito Tasi.
Poi i trasporti (57) e l’ambiente (18). Torino ottiene 136 milioni dalla tassa e al di là dei 71 impiegati per i vigili e i 18 per l’illuminazione, curiosamente indica un milione per le fontanelle. Chissà se i proprietari torinesi apprezzano. Venezia non ha approvato il bilancio 2014 e dunque non si capisce se i 40 milioni del costo dei servizi corrispondano o meno al gettito Tasi. Così Napoli indica 7 servizi indivisibili da finanziare con la Tasi (ambiente, strade, edilizia, anagrafe, sicurezza, assistenza, commercio). Ma null’altro: né gettito della tassa, né ripartizione. Nulla di nulla. Alla faccia della trasparenza.
Il Comune di Firenze a guida Nardella mette il gettito Tasi nella relazione programmatica al bilancio di previsione (40 milioni e mezzo). E fa sapere che per metà andrà a polizia locale e ambiente, una parte (circa 14 milioni) per i servizi socioassistenziali e una fiche, circa 282 mila euro, per i servizi bibliotecari. Bologna e Genova sono le uniche a coprire con la Tasi anche il “costo degli organi istituzionali”. Bolognesi e genovesi sono consapevoli dunque di contribuire con la loro Tasi anche allo stipendio del sindaco e dei consiglieri municipali? Chissà. Bologna però è anche l’unica ad avere al top dei servizi indivisibili coperti da Tasi la sicurezza urbana. Genova invece non dettaglia e non si capisce quanti dei 21 servizi (che in totale costano ai cittadini 192 milioni) vengano foraggiati dai 75,4 milioni incassati dal mattone. Curioso, questo federalismo fiscale. (Repubblica)
Tasi, aliquote prima casa verso il 2 per mille. Analisi del Caf Acli su 4mila Comuni: quasi raddoppiato il prelievo base, poche le detrazioni
Le aliquote della Tasi corrono verso l’alto. All’appello manca ancora metà dei Comuni, ma sulle prime case la media è già all’1,94 per mille, ben al di sopra del livello base dell’1 per mille. Molti sindaci stanno sfruttando i margini di aumento previsti dalla legge, anche perché in un caso su due la nuova imposta comunale colpisce anche gli immobili diversi dall’abitazione principale, con un’aliquota media dell’1,28 per mille.
I dati sono stati elaborati per Il Sole 24 Ore del lunedì dal Caf Acli, su una base di 4.058 delibere comunali rispetto alle 4.752 pubblicate venerdì scorso sul sito delle Finanze. Decifrare le scelte locali non è facile, perché i Comuni sono liberi di plasmare la Tasi (quasi) come vogliono, diversamente da ciò che accade con l’Imu. L’analisi del Caf Acli, però, permette di cogliere alcune tendenze: 1 il 15% dei Comuni finora ha esentato l’abitazione principale dalla Tasi; 1 negli altri Comuni il prelievo sulla prima casa è quasi il doppio del livello di partenza, e ci sono 474 municipi – l’11% del totale – che hanno superato il 2,5 per mille, sfruttando la chance di introdurre una maggiorazione extra fino allo 0,8 per mille; 1 i sindaci hanno grande libertà nel definire le agevolazioni, ma se si contano le principali tipologie di detrazione si vede che sono istituite soltanto nel 43% dei casi, comprese le città che sono obbligate a farlo perché hanno alzato il prelievo oltre il 2,5 per mille.
Pochi sconti e aliquote elevate, dunque. Anche considerando le città che hanno “Tasi zero” sulle prime case, l’aliquota media resta sopra il livello base, all’1,66 per mille. E già nel report di fine luglio i tecnici delle Finanze avvertivano che «il gettito della Tasi potrebbe aumentare» se i Comuni che non hanno ancora deliberato «stabilissero aliquote superiori all’1 per mille sulla nuova imposta». Il rischio di rincari rispetto all’Imu pagata nel 2012 è concreto, anche se molto dipenderà dal peso delle detrazioni locali.
Ad esempio, una casa-tipo con una rendita catastale di 450 euro, due anni fa ha versato 102 euro di Imu (ipotizzando aliquota al 4 per mille e nessun figlio). Quest’anno, invece, potrebbe pagare 144 euro di Tasi parte dei contribuenti».
Di certo, per fare un bilancio generale bisogna considerare anche la Tasi sugli altri fabbricati. Per ora i dati consentono di vedere che metà dei Comuni ha scelto di far pagare la nuova imposta anche sugli immobili diversi dalle prime case, adottando una sola aliquota o livelli differenziati per tipo di edificio. In ogni caso, il prelievo medio nelle città che hanno istituito il tributo supera sempre l’1 per mille, mentre scende allo 0,66 per mille se si conteggiano anche le città che tassano solo le abitazioni principali.
«I primi Comuni che hanno deliberato tendevano ad applicare la Tasi solo sulla prima casa, poi si è passati a tassare con maggiore frequenza anche gli altri fabbricati», osserva ancora Conti. Il punto chiave, in questo caso, è capire come la nuova tassa si combina con l’Imu: su questi immobili, infatti, più che una service tax, la Tasi è un’addizionale dell’Imu. Tant’è vero che la legge fissa un limite d’aliquota complessivo tra le due imposte, oltre a regolarle separatamente.
Ad esempio, le case affittate pagano la Tasi in un Comune su due, con un’aliquota media dell’1,3 per mille, di cui il 21,7% a carico dell’inquilino. Perché il prelievo rimanga invariato, bisogna che le aliquote Imu si abbassino in proporzione. Altrimenti il conto per il proprietario sarà più pesante. Senza contare le difficoltà di riscossione della quota a carico dell’inquilino per il Comune, che dovrà intervenire per colpire eventuali morosità ad anni di distanza e con il rischio che l’affittuario si sia trasferito. (Il Sole 24 Ore)
8 settembre 2014