I frutti di mare del tarantino sono addirittura più inquinati del pecorino. La Procura di Taranto ha intanto incaricato la Capitaneria di Porto di raccogliere informazioni
Altro che uova in Germania. Il ministero della Salute e il governatore Vendola dovrebbero occuparsi delle cozze tarantine. La legge anti-diossina, in Puglia, non sta dando i suoi frutti. La città più inquinata d’Europa, Taranto, rimane la più avvelenata. Colpa dello stabilimento siderurgico dell’Ilva, che per decenni ha emesso veleni (e continua). E oggi si scopre che non solo il latte materno, non solo i formaggi, non solo i bambini del quartiere Tamburi (a ridosso del siderurgico) fumano virtualmente tre sigarette al giorno sin da quando nascono, ma anche le cozze tarantine, famose in tutto il mondo, sono piene di veleni.
Lo studio è stato fatto dal Fondo Antidiossina Taranto Onlus, che si è autofinanziata e ha ricevuto donazioni per poter liberamente fare le analisi sulle cozze. La brutta notizia è arrivata a sorpresa, anche perché la Asl aveva fatto le stesse analisi e i risultati erano stati ben diversi: le cozze che si trovano nel Mar Piccolo (quelle che vengono colte e poi distribuite al commercio) sono a norma e non contengono diossina. Tutto falso, secondo la nuova ricerca. I valori emersi dalle nuove analisi superano i limiti di legge. Diossine e PCB raggiungono i 13,5 picogrammi per grammo quando la legge fissa un limite di 8. C’è uno sforamento quindi del +69% (risultati dell’Inca, Consorzio Interuniversitario Nazionale di Chimica per l’Ambiente).
La situazione, nella città pugliese, è in parte migliorata grazie alla normativa approvata il 16 dicembre 2008 dal Consiglio regionale. Ma si scopre che qualcosa che non va. Primo: gli ultimi rilevamenti dell’Arpa antidiossina nella città dei Due Mari risalgono all’aprile del 2009. Da allora nessuna notizia. Secondo: i limiti di emissioni di diossina, secondo la legge, sono di 0,4 nanogrammi. Ma le restrizioni riguardano solo carni e formaggi, non i prodotti del mare. Di fatto le acque tarantine non erano mai state analizzate in modo approfondito, proprio perchè i limiti sono molto vaghi e nella normativa non si leggono precise indicazioni. Evidentemente a qualcuno ha fatto comodo, per motivi commerciali, che la legge non si occupasse delle cozze.
Il colpo per i tarantini è duro, oltre che per il commercio e per le esportazioni. I valori molto alti di veleni, oltre i limiti di legge, sono presenti nei molluschi che vengono coltivati sul fondale del mar Piccolo di Taranto, in particolare ostriche e cozze pelose. I risultati sono frutto dalle analisi compiute dalla onlus anche sul latte materno, le lumache e i molluschi. “Le analisi del fondo evidenziano anche differenze significative rispetto ai dati delle analisi compiute dalla Asl che hanno rilevato valori alti ma non così allarmanti”, spiega ad Affaritaliani.it Alessandro Marescotti di Peacelink, che affianca il fondo antidiossina nella ricerca. “Gli esami si riferiscono a prelievi compiuti a partire da un paio di mesi fa, specifica”.
LE ANALISI – Il Fondo Antidiossina Taranto ha fatto analizzare alcuni molluschi del Mar Piccolo presso il laboratorio INCA (Consorzio Interuniversitario Nazionale di Chimica per l’Ambiente) di Venezia, un centro altamente specializzato, con una lunga tradizione nel campo delle diossine. Le analisi hanno riguardato i frutti di mare e hanno evidenziato un superamento dei valori di legge per le diossine e i policlorobifenili (PCB). Bisogna precisare che si tratta di prelievi di frutti di mare da fondali inquinati. Le analisi non riguardano quindi i mitili di allevamento che godono di una situazione presumibilmente migliore per i mitili in quanto non poggiano sul fondale. La diossina non è idrosolubile. Può essere assorbita dai molluschi se i fondali inquinati vengono smossi, essendo organismi filtratori di acque torbide capaci di trattenere il particolato in sospensione nell’acqua.
I FRUTTI DI MARE BATTONO IL PECORINO – I frutti di mare del tarantino sono addirittura più inquinati del pecorino. Nel marzo del 2008 PeaceLink scoprì in un pecorino locale valori di diossine e PCB superiori ai limiti di legge (19,5 picogrammi per grammo di materia grassa, quando il limite è 6). Il raffronto fra pecorino e frutti di mare di fondale ha evidenziato una maggiore contaminazione dei frutti di mare presi dal fondale del Mar Piccolo, in quel sito. Si superava la dose tollerabile giornaliera di quasi 7 volte per un uomo di 70 chili e di quasi 10 volte per una donna di 50 chili.
FRUTTI DI MARE E PERICOLI PER LA SALUTE – Nel campione di frutti di mare si va ben oltre raggiungendo addirittura 1314 picogrammi di diossine e PCB per 100 grammi. Mangiando 100 grammi di questi molluschi si supera di 9 volte la dose tollerabile giornaliera di diossine e PCB se consideriamo una persona del peso di 70 chili. Una donna di 50 chili invece supera di 13 volte la dose tollerabile giornaliera”. Queste sostanze si bioaccumulano nell’organismo, costituendo un rischio non solo cancerogeno ma anche genotossico. Hanno cioè il potere di modificare il Dna che viene trasferito ai figli. Diossine e PCB dei mitili possono passare alle orate e ai saraghi si nutrono delle cozze del fondale. Il passaggio da un organismo all’altro è il fenomeno della “biomagnificazione”. Si affianca a quello di bioaccumulazione nell’uomo, per ciò che ci riguarda.
SI VA VERSO UN NUOVA INCHIESTA PER INQUINAMENTO – I dati sono dunque disastrosi. E, spiegano i promotori dello studio, sono stati presentati non con lo scopo di creare allarme ma di fornire alle autorità competenti, in primo luogo Arpa e Asl, uno stimolo perché svolgano indagini ancora più approfondite. La Procura della Repubblica di Taranto ha intanto incaricato la Capitaneria di Porto di raccogliere informazioni. Non è esclusa l’apertura di un nuovo fascicolo per inquinamento ambientale.
13 gennaio 2011 – Affaritaliani.it