Trasparenza per gli ordini professionali. Avvocati, ma anche architetti, ingegneri, commercialisti e tutti gli altri enti di rappresentanza dei professionisti sono obbligati a dotarsi di uno scudo anti-corruzione come gli enti pubblici. Devono predisporre un piano triennale di prevenzione, nominare un responsabile anticorruzione e rispettare incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, oltre all’obbligo di pubblicare i dati su patrimonio e redditi dei titolari delle funzioni di indirizzo politico.
Lo ha stabilito il Tar Lazio, con la sentenza 11391 del 24 settembre, che ha rigettato il ricorso promosso da cinque ordini locali degli avvocati (Locri, Pisa, Biella, Catanzaro, Cosenza), contro le delibere (144 e 145/2014) con cui l’Anticorruzione ha applicato gli obblighi di trasparenza della legge Severino (190/2012) e dei suoi decreti attuativi (Dlgs 33/2013 e 39/2013) anche agli Ordini professionali.
Il Tar ha escluso che gli ordini non rientrino nel novero delle Pa elencate dal Dlgs 165/2001, come dimostrerebbe il fatto di non essere soggetti alla Corte dei Conti, proprio perché non a carico delle casse pubbliche ma finanziati con i contributi dei professionisti.
Argomentazioni smontate dal tribunale amministrativo, ricorrendo proprio alla legge di riforma della professione forense ( 247/2012) che al contrario «dispone espressamente che il Cnf e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo». Una definizione che, qualificando gli ordini come enti pubblici «deve ritenersi di per sé sufficiente al rigetto delle censure in esame».
Non rileva l’obiezione secondo la quale gli ordini hanno natura associativa, o autonomia finanziaria. Perché «l’ordinamento non ha avuto difficoltà a riconoscere prima e a ribadire dopo, la qualificazione di enti pubblici ad altre organizzazioni di tipo associativo». Bocciato anche l’argomento relativo «all’esclusivo finanziamento mediante i contributi degli iscritti». Piuttosto, è la risposta, il fatto che la «tassa annuale» venga appunto assimilata a un «tributo» non fa che rafforzare la «qualificazione pubblicistica» degli ordini professionali.
Mauro Salerno – Il Sole 24 Ore – 29 settembre 2015