Nello scandalo sul Carroccio spunta un pagamento di almeno 150 mila euro all’onorevole pregiudicato del Pdl che da sempre gestisce i rapporti più segreti tra Berlusconi e Bossi
Nello scandalo di fondi neri, mafia, truffe allo Stato e bustarelle ai politici che martedì 3 aprile ha portato tre Procure a perquisire la sede della Lega Nord, non poteva mancare un pacco di soldi destinati ad Aldo Brancher, l’onorevole pregiudicato che, come risulta da vent’anni di processi che lo hanno coinvolto, custodisce molti segreti sulla Fininvest di Silvio Berlusconi e sul partito di Umberto Bossi. Al centro delle indagini dei pm di Milano, Napoli e Reggio Calabria c’è Francesco Belsito, un discusso imprenditore genovese diventato prima portaborse del parlamentare che gestiva la cassa del Carroccio (nel frattempo defunto) e dal 2010 unico tesoriere del partito di Bossi, che lo ha infilato anche nel consigliere d’amministrazione della Fincantieri. Belsito, in Liguria, è in affari con un imprenditore chiacchieratissimo: Romolo Girardelli, detto “l’ammiraglio”, ora inquisito per mafia e riciclaggio.
Secondo l’accusa avrebbe ripulito soldi sporchi della cosca De Stefano, storico clan della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, finanziando pure la latitanza di un boss.
Nel tempo libero il tesoriere della Lega curava anche un altro business personale: organizzava truffe allo Stato, secondo le tre procure, insieme a un faccendiere veneto, Stefano Bonet, detto “lo shampato” dagli stessi intercettati per il suo “look stravagante”. L’incredibile trio di indagati – il leghista, il presunto mafioso e il sospetto truffatore – è unito dall’utilizzo dello stesso canale di riciclaggio: un giro di conti esteri gestiti da un amico di Bonet, un certo Paolo Scala, italo-cipriota. E’ appunto la coppia Bonet-Scala a ricevere da Belsito, per smistarli tra Cipro e la Tanzania, almeno 5,7 milioni di euro di finanziamenti pubblici versati dallo Stato alla Lega Nord. Soldi che Bonet e Scala, intercettati, spiegano di aver cominciato a far rientrare in Italia di nascosto, “segregati” e “dopo due processi di filtrazione”. Belsito è stato registrato e pedinato, nonostante i primi articoli del “Secolo XIX”, mentre intasca buste piene di soldi, recapitategli dall’autista di Bonet. E i pm ritengono che abbia provveduto alle spese del cerchio magico bossiano con i soldi del partito.
Ma in mezzo allo scandalo lumbard ora spunta un infiltrato: Aldo Brancher, un parlamentare vicinissimo a Berlusconi. Segni particolari: si è appena visto infliggere una condanna definitiva per appropriazione indebita e ricettazione. E adesso dagli atti dell’inchiesta su Belsito salta fuori che il suo presunto compagno di truffe, lo “shampato” Bonet, avrebbe versato almeno 150 mila euro proprio a Brancher.
In attesa che le indagini chiariscano le cifre e il movente, le intercettazioni sull’onorevole restano un mistero. Uno dei tanti di cui è costellata la sua vita. Ex sacerdote, Brancher negli anni Ottanta entra alla Fininvest e diventa il cassiere delle tangenti. Arrestato per mazzette all’ex ministro De Lorenzo e al Psi di Craxi, resta tre mesi a San Vittore: i giudici lo accusano di coprire i vertici del Biscione, ma lui giura di aver fatto tutto da solo. Quindi risarcisce 300 milioni di lire e conquista la prescrizione.
In politica ci entra da grande burattinaio: è lui a ricucire l’alleanza tra Berlusconi e Bossi che nel 2001 riporta il centrodestra al governo. Sui retroscena di quel patto, gli spioni della Pirelli si scatenano in dossier scandalistici, ma nessuno trova prove. Quindi Brancher diventa parlamentare e smette di pagare: da allora le tangenti le incassa. Il banchiere Giampiero Fiorani confessa di aver “comprato il suo appoggio politico” versandogli “almeno 827 mila euro”. Fiorani aggiunge di avergli consegnato “anche una busta di soldi per Roberto Calderoli, che aspettava nell’altra stanza”. Il ministro leghista però nega. Ed è proprio Brancher, smentendo Fiorani, a far assolvere Calderoli.
Il peso politico del sacerdote convertito sulla via di Arcore nasce proprio dalla capacità di arbitrare nel silenzio i patti con la Lega Nord. Tra un processo e l’altro, l’onorevole diventa ministro di un dicastero molto padano che prima si chiama “per il federalismo” e subito diventa “per la sussidiarità e il decentramento”, ma deve dimettersi dopo 17 giorni. Perduto lo scudo Alfano, nel marzo 2011 si vede confermare in Cassazione la condanna a due anni (coperti dall’indulto) per i soldi rubati alla Banca Popolare di Lodi. Tre settimane dopo, Berlusconi e Tremonti lo nominano al vertice di un nuovo ente parastatale, chiamato Odi, con 160 milioni di euro da distribuire tra i comuni di confine con il Trentino. A rivelarlo è “l’Espresso”, che nell’agosto scorso documenta anche il suo legame con l’allora sconosciuto Stefano Bonet: Brancher lo presenta ai sindaci veneti come il “consulente privato” che con la sua società Po.la.re. può aiutarli a “ottenere fondi pubblici”. L’inchiesta giornalistica svela anche un aggancio con le feste pirotecniche organizzate da Brancher come presidente dell’associazione dei comuni del Lago di Garda. Ora si scopre che proprio Bonet con la sua Po.la.re. è sotto accusa come regista di una truffa napoletana che, attraverso finti progetti di ricerca, avrebbe garantito indebiti rimborsi statali a società come la Siram spa.
L’Espresso – 9 aprile 2012