Proprio nel momento in cui i medici di famiglia hanno iniziato a fare i tamponi per la ricerca del Covid-19 agli assistiti in quarantena o con sintomi sospetti, forti dei 50 test rapidi a testa loro consegnati dalla Regione in virtù della delibera emanata il 2 ottobre, in anticipo sull’accordo nazionale firmato il 28, arriva un brusco stop. E ora, nel bel mezzo dell’emergenza, si rischia lo sciopero. Motivo della rivolta l’ordinanza con cui il governatore Luca Zaia impone quest’ulteriore compito anche ai camici bianchi che invocavano la volontarietà, pena sanzioni fino alla revoca della convenzione con il servizio pubblico. La miccia tuttavia non l’ha accesa il contenuto, che riprende l’accordo siglato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, e dalla Fimmg (non dagli altri sindacati), ma i toni utilizzati dal presidente. Al quale Domenico Crisarà, portavoce proprio della Fimmg, che rappresenta 1970 dottori di base veneti sui 3408 conteggiati dalla Regione a febbraio, ha inviato una lettera altrettanto «decisa». Per «tutelare l’onorabilità di professionisti che dopo aver tanto dato durante le ore più buie della primavera scorsa, non possono essere trattati come renitenti alla leva».
«Da luglio la categoria preme per essere dotata di tamponi e dal 2 al 28 ottobre l’adesione all’iniziativa, volontaria e gratuita, ha coinvolto 700 colleghi, che finora ne hanno effettuati duemila — scrive Crisarà, ricordando pure il protocollo regionale sottoscritto il 30 ottobre dalle parti «con reciproca soddisfazione ed entusiasmo» —. Capisco la necessità di toni decisi e dichiarazioni forti in un momento come questo, ma era proprio necessario dare in pasto alla stampa una professione che in silenzio e spesso in solitudine lavora con ancora maggior dedizione per assistere tutti i pazienti? Il nostro “obbligo” all’utilizzo dei tamponi rapidi, gentile presidente, nasce dal voler essere presenti in una situazione di emergenza nazionale, per senso del dovere nei confronti dei malati e della comunità, e non per eventuali sanzioni. C’è poco da sanzionare chi è stato lasciato indietro per decenni, senza i necessari supporti umani e tecnologici, ed esercita egregiamente il suo lavoro solo grazie alla capacità di resilienza e alla fiducia degli assistiti — si rivolge ancora a Zaia il vicesegretario nazionale Fimmg —. Sarebbe più opportuno che rivolgesse l’attenzione alle Usl, affinché applichino le sue direttive nei nostri confronti con maggiore solerzia».
L’irritazione esplode all’interno dello Snami (420 iscritti), contrario fin da subito all’iniziativa. Annuncia il segretario regionale Salvatore Cauchi: «Cercheremo nelle pieghe dell’accordo nazionale, che non abbiamo firmato esattamente come quello regionale, i cavilli utili a consentire di esentarsi da tale mansione a chi non se la sente di espletarla. Siamo per la volontarietà e Zaia non è il nostro generale. Mercoledì dichiareremo lo stato di agitazione e valuteremo il rifiuto civile o forme di sciopero. Nel frattempo non ritireremo i tamponi rapidi in distribuzione in queste ore da parte della Protezione civile nazionale». I motivi del «no»? «Non siamo attrezzati per garantire percorsi differenziati ai pazienti e per tutelare noi stessi — spiega Cauchi — e poi non ci resta tempo per i malati non Covid. Rischiamo di trascurare oncologici, cronici, diabetici, cardiopatici, perché costretti a occuparci anche del contact tracing e dell’iscrizione alla app Immuni dei pazienti». Sulle barricate pure Liliana Lora, segretario regionale dello Smi, che non ha firmato i due accordi e rappresenta 275 medici di base: «Il governatore ci ha offesi, ha leso la nostra dignità. Nessuno di noi ha mai rifiutato di fare i tamponi per partito preso, ma perché mancano spazi, protezioni e protocollo adeguati: l’ultimo non prevedeva i guanti, per esempio. I nostri studi devono restare sicuri, per i malati e per noi, e i colleghi più fragili, come gli oncologici, i cirrotici o le colleghe in gravidanza, devono poter dire di no. Approfondiremo il tema delle sanzioni e vedremo di mettere in atto azioni di protesta. E comunque — chiude Lora — ai veneti va spiegato che il tampone non si fa a chiunque, ma a chi davvero bisogna testare, a nostro insindacabile giudizio».
Non si scompone Zaia: «Non ho offeso nè denigrato nessuno, è lesa maestà dire che il contratto nazionale, e non una legge regionale, prevede l’obbligo e relative sanzioni? Siamo l’unica Regione ad aver già completato l’intera procedura, grazie alla disponibilità dei medici di base, per i quali si sta studiando un protocollo comprensivo di procedure e protezioni idonee. Ogni settimana dirò quanti hanno fatto i tamponi e quanti no, ma ricordo che l’accordo nazionale ha ottenuto l’adesione del 75% di loro e del 100% dei pediatri di libera scelta, quindi tutti sono tenuti a rispettarlo. È un servizio di sanità pubblica — aggiunge il governatore — percepiscono 12 euro a tampone effettuato fuori dai loro ambulatori e 18 se eseguito all’interno, oltre a un integrativo per gli infermieri». Cioè 6 euro a paziente, contro i 4 erogati finora dalla Regione dal 2005.